L’Italia intera seguì con apprensione e dolore le fasi dell’indagine, che presto si trasformarono in un caso mediatico senza precedenti. L’attenzione dei media fu costante e intensa, e il nome di Massimo Giuseppe Bossetti emerse solo dopo anni di analisi scientifiche, grazie a un profilo genetico denominato “Ignoto 1”.
Il giorno della scomparsa: una memoria confusa
Nel corso dell’intervista, la conduttrice Francesca Fagnani ha incalzato Bossetti su uno dei punti più delicati: dove si trovava il giorno in cui Yara scomparve?
“Ricordo che era una giornata grigia, pioveva o nevicava – ha risposto Bossetti – e per via del maltempo non sono potuto andare in cantiere. Quindi ne ho approfittato per svolgere alcune commissioni. Forse sono passato dal commercialista, oppure sono andato dal parrucchiere. Non riesco a dirlo con certezza, anche mia moglie non ricorda l’orario preciso del mio rientro a casa”.
Quando la Fagnani gli ha fatto notare che non ha mai avuto un alibi verificabile per quel giorno, Bossetti ha insistito: “Non c’è un vuoto totale nella mia memoria. Ho sempre ripetuto le stesse cose. Quel giorno ho fatto attività normali. Esiste anche una ricevuta di pagamento, ma oltre a quello non riesco a ricordare con precisione dove fossi ora per ora”.
Il DNA e la condanna: “Non so come sia finito lì”
Il nodo centrale della condanna di Massimo Bossetti riguarda il profilo genetico rinvenuto sugli indumenti intimi di Yara. Il DNA identificato come “Ignoto 1” corrispondeva in modo compatibile con quello dell’imputato. Questo elemento fu considerato dalla Corte la prova regina, capace di sostenere l’accusa oltre ogni ragionevole dubbio.
“Nemmeno io so spiegare come il mio DNA sia potuto finire lì”, ha dichiarato. “Yara non l’ho mai conosciuta, non l’ho mai vista in vita mia. Come poteva un uomo adulto, come me, avere qualsiasi tipo di relazione con una ragazzina di tredici anni? È inconcepibile. Non è il mio caso”.
Bossetti ha poi toccato un altro tema doloroso emerso durante le indagini: la scoperta che l’uomo che lo aveva cresciuto non era in realtà il suo padre biologico. “Quando è venuta fuori quella verità, è stato uno choc. Mi sono arrabbiato con mia madre. In 44 anni non mi aveva mai detto niente. È morta portandosi questo segreto nella tomba, senza mai spiegarmi nulla”.
Il rapporto con la moglie Marita e il dolore personale
Un altro punto toccato durante l’intervista è stato il rapporto con la moglie, Marita Comi, che ha vissuto in prima linea il dramma del marito e tutto il processo mediatico e giudiziario. “Durante le udienze sono venuti fuori dei suoi tradimenti. È stato devastante scoprirlo così. Dopo l’arresto, sono crollato. Ho pensato seriamente di togliermi la vita. Ma oggi, nonostante tutto, ci sentiamo spesso. Marita crede ancora nella mia innocenza”.
Bossetti ha mostrato segni di forte emotività quando ha ricordato i momenti più dolorosi della sua vita: “Se potessi tornare indietro nel tempo, rivivrei il giorno del mio matrimonio. È stato uno dei pochi giorni felici. Ma cambierei il giorno dell’arresto. È stato come morire una seconda volta. Un trauma che non si dimentica”.
La fede e il desiderio di giustizia
Nonostante tutto, Bossetti afferma di non aver perso la fede. “Prego ogni giorno. Ma non chiedo perdono, perché non ho nulla da farmi perdonare. Non sono io l’assassino di Yara. L’unica cosa che chiedo a Dio è forza. Forza per resistere e per andare avanti. In questa storia, sia io che Yara non abbiamo avuto giustizia”.
Le sue parole rivelano una profonda sofferenza ma anche un desiderio di verità che, secondo lui, ancora non è venuta a galla. “Vorrei solo che qualcuno riconsiderasse tutto. Che si cercasse oltre le apparenze. Io sono vittima di un errore che mi ha distrutto la vita”.
Un caso ancora controverso
Il caso Bossetti continua a dividere l’opinione pubblica italiana. Da una parte c’è chi ritiene che la sentenza, basata sul DNA e su numerosi altri elementi, sia corretta e che l’uomo stia solo tentando di evitare la responsabilità. Dall’altra c’è chi, come i suoi legali e una parte di cittadini, crede che ci siano troppi punti oscuri nell’inchiesta e che l’unico elemento veramente solido sia proprio il DNA, la cui catena di custodia è stata anche oggetto di critiche e ricorsi.
Bossetti, dal carcere di Bollate, continua a combattere la sua battaglia legale e personale, nella speranza che un giorno possa emergere una nuova verità, capace di riscrivere la storia di uno dei casi di cronaca nera più seguiti dell’ultimo decennio.