Il Natale, per settimane indicato come il possibile momento del ricongiungimento, è passato senza che i tre figli della famiglia Trevallion-Birmingham potessero tornare dai genitori. Una data simbolica, caricata di aspettative e speranze, che si è progressivamente allontanata fino a svanire del tutto. Il ritorno a casa non ci sarà, almeno per ora, e le ragioni emergono con chiarezza da un provvedimento giudiziario che non lascia spazio a interpretazioni concilianti.
La famiglia, nota per aver scelto uno stile di vita radicale e isolato nel bosco, resta al centro di una vicenda complessa che intreccia scelte personali, diritti dei minori e responsabilità delle istituzioni. Il tribunale per i minorenni ha messo nero su bianco perché, allo stato attuale, un ricongiungimento non è ritenuto possibile.
Il provvedimento del tribunale e la “rigidità” dei genitori
Il documento, firmato dalla presidente del tribunale per i minorenni Cecilia Angrisano, si sviluppa in sei pagine e descrive un quadro definito critico. Secondo i giudici, Nathan e Catherine Trevallion-Birmingham non si mostrano disponibili a un dialogo costruttivo con le istituzioni né ad accettare compromessi temporanei.
In particolare, il provvedimento individua nella madre la figura più intransigente. Il suo atteggiamento viene descritto come rigido, impermeabile al confronto e tale da rendere estremamente difficile qualsiasi percorso di mediazione finalizzato al rientro dei bambini in famiglia.
Il rifiuto delle cure e l’episodio dell’intossicazione
Tra gli elementi più gravi citati nel provvedimento compare il rifiuto di strumenti sanitari ritenuti essenziali. Viene ricordato il caso dell’intossicazione da funghi che ha coinvolto i figli, durante il quale la madre avrebbe respinto l’utilizzo di un sondino naso gastrico, verosimilmente per la composizione del materiale.
Secondo il tribunale, questo episodio dimostra l’impossibilità di ottenere deroghe anche solo temporanee ai principi che guidano le scelte di vita dei genitori, nemmeno in situazioni di emergenza sanitaria.
Il caso della bronchite e l’opposizione agli antibiotici
Un altro episodio citato riguarda una bronchite con broncospasmo che ha colpito una delle bambine. Anche in questa circostanza, la madre avrebbe mostrato resistenza alla somministrazione di cure antibiotiche, privilegiando il rispetto dei propri principi rispetto alle indicazioni mediche.
Per i giudici, questi comportamenti rappresentano un rischio concreto per la salute dei minori e rafforzano la necessità di mantenerli, almeno per ora, in una struttura protetta.
La protesta estrema dopo l’ingresso in casa famiglia
Il provvedimento riporta anche un dettaglio definito “emblematico” dell’atteggiamento della madre dopo il collocamento dei figli in casa famiglia. La donna, una volta entrata nella struttura per accompagnare i bambini, avrebbe deciso di non lavarsi né farsi la doccia per circa un mese, come forma di protesta contro le decisioni delle autorità.
Un gesto che, secondo il tribunale, testimonia un rifiuto radicale delle regole e delle modalità di funzionamento della comunità.
Regole rifiutate e difficoltà nella vita comunitaria
Nel documento si evidenzia inoltre come la madre pretenda che ai figli vengano garantite abitudini e orari diversi rispetto a quelli previsti per gli altri minori ospitati nella struttura. Questa richiesta ha reso difficile l’inserimento dei bambini nella vita comunitaria e il rispetto delle regole condivise.
Secondo i giudici, tale atteggiamento ostacola non solo la gestione quotidiana, ma anche il percorso educativo e relazionale dei minori.
I dubbi sulla nuova casa e la stabilità futura
Il tribunale esprime scetticismo anche rispetto alla prospettiva di una nuova abitazione messa a disposizione da un ristoratore di Chieti. Nel provvedimento si sottolinea come, in passato, i genitori abbiano già abbandonato altre soluzioni abitative offerte loro, mettendo in dubbio una reale volontà di stabilizzazione.
Questo elemento contribuisce a rafforzare la valutazione negativa sulla possibilità di un rientro sicuro e duraturo dei bambini.
La diffidenza trasmessa ai figli
Secondo il tribunale, l’atteggiamento di chiusura verso il mondo esterno sarebbe stato trasmesso anche ai figli. I bambini mostrano ancora oggi difficoltà nell’interazione con i coetanei, con segnali di imbarazzo e diffidenza soprattutto nei momenti di confronto sulle esperienze personali.
Un disagio che emerge con forza nella vita quotidiana della comunità e che rappresenta un ulteriore ostacolo a un ricongiungimento immediato.
Per queste ragioni, il Natale che doveva segnare un nuovo inizio si è trasformato in una conferma dolorosa: la vicenda della famiglia nel bosco resta aperta, complessa e lontana da una soluzione, con i bambini al centro di una decisione che punta, prima di tutto, alla loro tutela.
















