A Telecom Italia venne richiesto un versamento complessivo di 528,7 milioni di euro: 385,9 milioni riferiti a Telecom Italia e 142,8 milioni a Telecom Italia Mobile (Tim). Il gruppo ha sempre sostenuto che tale contributo fosse indebito e non conforme al diritto comunitario.
Nel 2000, la società presentò ricorso contro il decreto che regolava le modalità di pagamento, aprendo ufficialmente il lungo iter giudiziario.
I passaggi giudiziari tra Tar, Consiglio di Stato e Corte Ue
Il primo fronte giudiziario si aprì davanti al Tar del Lazio, che decise di rimettere la questione alla Corte di Giustizia dell’Unione europea. Nel febbraio 2008, la Corte Ue si pronunciò in modo favorevole al gruppo telefonico, definendo il contributo non dovuto.
Nonostante la sentenza europea, il Tar del Lazio respinse nel dicembre 2008 la richiesta di rimborso avanzata da Telecom, pur senza smentire il principio stabilito dalla Corte Ue. La società impugnò la decisione davanti al Consiglio di Stato, che nel novembre 2009 confermò il rigetto.
A quel punto, la controversia si spostò sul piano civile, approdando alla Corte d’Appello e infine alla Cassazione, che ha ora ribaltato definitivamente l’esito a favore di Tim.
Le conseguenze economiche e l’impatto sui conti pubblici
La sentenza comporta per lo Stato un esborso superiore al miliardo di euro, una cifra che include oltre due decenni di interessi e rivalutazione. Proprio per questo motivo, il governo aveva già previsto un fondo di copertura nella manovra economica, destinato a far fronte a cause legali di grande entità.
Per Tim, invece, il pronunciamento rappresenta la chiusura definitiva di una vertenza storica e il riconoscimento delle proprie ragioni giuridiche su un contributo ritenuto illegittimo fin dall’origine.
La decisione della Cassazione segna così un punto fermo non solo per le parti coinvolte, ma anche per il rapporto tra Stato e grandi operatori regolati, evidenziando il peso che controversie di lunga durata possono avere sulle finanze pubbliche.



















