martedì, Agosto 19

Baudo, gli ultimi mesi in casa: il racconto di Assumma tra fragilità, lacrime per “mamma Rai” e un possibile erede

Il saluto più difficile: il racconto di chi gli è stato accanto

Un’amicizia lunga una vita che si chiude davanti a una bara, con accanto la figlia Tiziana e la storica segretaria Dina Minna. L’avvocato Giorgio Assumma, ex presidente SIAE e confidente di Pippo Baudo, affida al Corriere della Sera un ricordo schietto e doloroso: «Io che non mi commuovo mai, mi sono commosso mentre l’ho visto nella bara col suo smoking». Parole che aprono uno spiraglio sull’ultimo tratto di strada del “Pippo nazionale”.

La fragilità: «Indebolimento alle gambe, vedeva poco»

Assumma chiarisce anche le condizioni che hanno accompagnato gli ultimi mesi del conduttore: «Pippo ha avuto un indebolimento neurologico alle gambe che lo ha condizionato molto. In più vedeva poco e cercava di nascondermelo: mi individuava attraverso la provenienza della mia voce». Le visite regolari lasciavano nell’amico un senso di angoscia: «Tutte le volte che andavo a trovarlo uscivo con un peso».

La casa come rifugio: risate al telefono e un’unica uscita

Nei mesi più recenti, racconta Assumma, Baudo è rimasto quasi sempre in casa, scegliendo di evitare incontri e grandi uscite. Fanno eccezione pochissimi momenti, come il compleanno di Pier Francesco Pingitore del Bagaglino. «Anche con me preferiva lunghe telefonate», ricorda l’avvocato, «gli raccontavo le barzellette e lo sentivo ridere». Un filo di leggerezza, tenuto saldo dalla voce, quando il corpo e la vista non reggevano più come prima.

Le ferite: l’etichetta “nazional-popolare” e l’esclusione dopo i 75

Dietro il professionista inflessibile, la sensibilità di un uomo che ha vissuto di riconoscimento pubblico. «Una sola volta l’ho visto davvero giù e pianse sul mio divano», ricostruisce Assumma: nel 1987, quando l’allora presidente Rai Enrico Manca lo definì “nazional-popolare”. Un marchio che Baudo percepì come riduttivo. Poi, «attorno ai 75 anni fu messo da parte, considerato un volto del passato, e perse sicurezza: mi disse che fu il peggior periodo della sua vita». Dietro la maschera del mattatore, la fatica di sentirsi archiviato prima del tempo.

Il provino, la promessa, la fedeltà

Nelle parole di Assumma riaffiora anche il ragazzo arrivato dalla Sicilia per inseguire un sogno: «Lo conobbi a 25 anni, quando venne per il provino in Rai. Mi disse: “Se va male, mi prenda lei nello studio”». C’è tutta la materia di una biografia: intraprendenza, studio, disciplina, quel senso di appartenenza alla “mamma Rai” che ha retto per decenni, nonostante le amarezza finali.

Un possibile erede: «Stefano De Martino ha capito il pubblico»

Assumma confida anche un pensiero che Baudo gli avrebbe ripetuto: «Me l’hanno chiesto ieri e ho detto che non c’è. Ma non è così e a voi del Corriere voglio dirlo: è Stefano De Martino». Un nome che, per l’amico di Pippo, avrebbe compreso «il modo di parlare al popolino», cioè quel rapporto diretto, empatico, “di piazza” con il pubblico generalista che Baudo aveva elevato a cifra d’arte.

L’uomo dietro il mito: dignità, pudore, misura

Nel ritratto affiora un tratto costante: pudore. Nascondere la vista che cala, affidarsi al suono di una voce amica, preferire il telefono alla passerella, custodire la dignità del ruolo anche quando il fisico non asseconda più. È il sigillo di una professionalità che ha plasmato la tv italiana, ma che, nella sua fase più fragile, ha chiesto protezione e silenzio.

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