Dana Stroul, ex vice segretaria alla Difesa per gli affari mediorientali, ha espresso forte preoccupazione per un’escalation rapida. “Vedremo presto se l’amministrazione statunitense sarà in grado di affrontare le conseguenze”, ha dichiarato, facendo riferimento alla fragilità della situazione e ai rischi di un conflitto su scala regionale.
Un nodo cruciale è lo Stretto di Hormuz, un passaggio marittimo strategico da cui transita circa il 20% del petrolio mondiale. La sua possibile chiusura, secondo l’ex inviato speciale per l’Iran, Elliott Abrams, potrebbe innescare un’impennata dei prezzi del petrolio a livello globale, con impatti immediati sull’economia internazionale.
Anche l’ex segretario dell’aeronautica statunitense, Frank Kendall, ha confermato la capacità offensiva dell’Iran. Secondo Kendall, Teheran ha già predisposto un arsenale pronto all’uso composto da missili balistici, droni armati e missili da crociera, tutti pronti ad essere lanciati su comando.
Le informazioni raccolte dal Pentagono indicano che gli Stati Uniti hanno attualmente circa 40.000 militari schierati in aree sensibili come Kuwait, Bahrein, Qatar, Emirati Arabi Uniti, ma anche Iraq, Egitto, Giordania, Arabia Saudita, Oman e Siria. Nonostante le moderne difese aeree presenti in molte di queste basi – tra cui sistemi Patriot e tecnologie anti-drone – i siti militari americani restano esposti agli attacchi missilistici iraniani a corto raggio.
La recente mobilitazione del gruppo da battaglia della portaerei USS Nimitz verso la regione rappresenta un ulteriore segnale della crescente attenzione militare da parte degli Stati Uniti. “Siamo sempre in uno stato di allerta operativa ragionevole”, ha dichiarato Kendall, “ma ora il livello di vigilanza è sicuramente più elevato”.
Le prossime ore si preannunciano decisive. Una risposta iraniana appare ormai inevitabile, e non è più vista come un’eventualità astratta ma come una concreta minaccia che potrebbe aprire le porte a una nuova fase di instabilità in Medio Oriente. Nel frattempo, la diplomazia internazionale sembra restare in secondo piano, mentre cresce l’ansia per un possibile allargamento del conflitto oltre i confini regionali.