venerdì, Giugno 6

Giorgia Meloni non ritira le schede ai referendum: bufera politica e accuse di sabotaggio

 

Conte: “Scelta vergognosa, soprattutto il 2 giugno”

Il leader del M5S, Giuseppe Conte, ha definito “vergognoso” il messaggio di Meloni: “Non è libero chi non può difendersi da licenziamenti e sfruttamento. Il 2 giugno del 1946 si votò per la Repubblica. Oggi Meloni manda un messaggio di disimpegno e paura del voto”.

Appendino e Bonelli: “Un sabotaggio istituzionale”

Chiara Appendino (M5S) ha parlato di un comportamento “subdolo”, e Angelo Bonelli (AVS) ha attaccato duramente: “Ormai è chiaro che questa destra vuole sabotare la democrazia. Se anche la premier sceglie la non partecipazione, vuol dire solo una cosa: temono la vittoria del Sì”.

Bonelli ha invitato i cittadini a “fare il contrario di ciò che chiede il potere” e andare a votare, ritirando le schede per esprimere un parere chiaro.

Fratoianni e Magi: “Difendere la democrazia, non sabotarla”

Nicola Fratoianni

ha criticato il “teatrino del non ritiro delle schede”, definendolo una “pantomima vergognosa”. “I cittadini prenderanno le schede e diranno basta a sfruttamento, precarietà e disuguaglianze”.

Riccardo Magi, segretario di Più Europa, ha sottolineato come la scelta di Meloni sia “una dichiarazione furba ma falsa”, soprattutto nel giorno in cui si celebra il Referendum del 1946: “Mandare messaggi contro la partecipazione è agghiacciante”.

Cosa prevede la legge: quando non ritirare le schede equivale ad astenersi

Secondo le istruzioni del Ministero dell’Interno, se un elettore non ritira nessuna delle schede, non può essere considerato tra i votanti e quindi non contribuirà al quorum. Se invece le ritira ma le restituisce senza entrare in cabina, verrà contato come votante ma con scheda annullata.

Questa norma consente agli elettori di esprimere un’astensione “parziale” o “totale” a seconda delle schede che accettano o rifiutano.

Conclusione: tra strategia e simbolismo, il voto divide ancora

Il gesto della presidente del Consiglio si inserisce in un contesto politico già infuocato. Con cinque quesiti referendari sul tavolo, riguardanti lavoro, precarietà e cittadinanza, la scelta di non partecipare attivamente sembra destinata a generare ulteriori tensioni e mobilitazioni.

L’8 e 9 giugno saranno giorni chiave non solo per il contenuto dei quesiti, ma anche per il segnale politico che cittadini e istituzioni sceglieranno di dare.

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