domenica, Giugno 8

Referendum, la fronda di Gentiloni pronta a votare no: beffa per Schlein

Gentiloni conferma: “Voterò, ma non seguirò la linea dei 5 Sì”

In un’intervista rilasciata a La Stampa, Gentiloni ha chiarito la propria posizione. Sì, andrà a votare, una decisione motivata dal rispetto del suo passato istituzionale.

 

Ma non voterà in blocco secondo le indicazioni di Elly Schlein, che ha invitato a sostenere tutti e cinque i quesiti referendari. In particolare, l’ex premier ha annunciato che voterà No sul quesito relativo al Jobs Act, per coerenza con le sue posizioni passate, mentre si esprimerà con un Sì per la cittadinanza, tema che giudica meritevole di riforma.

Il fronte riformista critica la strategia del referendum

Secondo Gentiloni, il referendum avrebbe dovuto concentrarsi su temi più urgenti per il paese, come il potere d’acquisto e la crisi salariale. “Ci stiamo perdendo in regolamenti di conti interni,” ha commentato, criticando implicitamente l’approccio identitario scelto dalla segreteria del PD. In sostanza, per l’ex commissario europeo, la battaglia referendaria è più uno scontro tra correnti che una vera proposta politica per il futuro del lavoro e dei diritti in Italia.

La replica di Orlando: “Il superamento del Jobs Act era nel programma”

La posizione di Gentiloni non è piaciuta a tutti. Andrea Orlando, anche lui ex ministro e sostenitore della linea referendaria, ha ricordato che il superamento del Jobs Act era già previsto nel programma del PD. Non si tratta quindi di una vendetta ideologica, ma di una necessità politica maturata nel tempo. Per Orlando, continuare a difendere modelli di lavoro basati su flessibilità estrema e riduzione dei costi non è più sostenibile nel contesto attuale.

Sempre più voci critiche all’interno del PD

Gentiloni non è isolato nel suo dissenso. Altri esponenti dem, come l’europarlamentare Giorgio Gori, hanno espresso perplessità sull’utilità di alcuni dei quesiti. “Il referendum è un tentativo di tornare indietro, ma la realtà è già cambiata,” ha affermato Gori. Secondo lui, modificare norme già superate rischia di essere inutile o persino dannoso, perché distoglie l’attenzione dai problemi concreti del presente.

La strategia di Schlein: superare i voti di Meloni

Elly Schlein, dal canto suo, non cambia rotta. La linea resta quella dei 5 Sì. Tuttavia, la segretaria del PD sembra puntare più su un risultato politico che sull’effettivo raggiungimento del quorum. Come ha spiegato Francesco Boccia, uno dei suoi principali consiglieri, l’obiettivo è arrivare a superare i 12,3 milioni di voti ottenuti da Giorgia Meloni alle ultime politiche. “Sarebbe un segnale chiaro di sfiducia verso l’attuale governo”, ha dichiarato Boccia.

Il quorum resta un’incognita, ma c’è speranza

Nonostante la difficoltà di raggiungere il quorum, nel quartier generale del PD e tra le forze promotrici c’è un cauto ottimismo. Sandro Ruotolo, tra i più attivi sostenitori del referendum, ha parlato di un’”ondata di mobilitazione” che potrebbe sorprendere. Secondo lui, il fatto che il governo abbia invitato all’astensione è di per sé un motivo in più per andare a votare.

+Europa e Avs mobilitati: “Democrazia diretta da difendere”

Anche altri partiti e movimenti si stanno mobilitando. Riccardo Magi, segretario di +Europa, promotore del quesito sulla cittadinanza, ha sottolineato la partecipazione crescente tra i giovani. Una novità incoraggiante in un Paese dove l’astensione sembra ormai cronica. Tino Magni, senatore di Alleanza Verdi e Sinistra, ha ricordato che il referendum rappresenta uno degli ultimi strumenti di democrazia diretta ancora a disposizione dei cittadini.

Dario Nardella: “Non ha senso andare al seggio e non votare”

L’europarlamentare Dario Nardella ha invece criticato duramente l’atteggiamento di Giorgia Meloni, che ha annunciato che andrà al seggio ma senza ritirare la scheda. “È come entrare in chiesa e non partecipare alla messa,” ha commentato ironicamente. Una posizione che alimenta la polemica tra chi invita all’astensione e chi, come Nardella, rivendica il diritto-dovere di esprimersi.

Una sfida politica più che normativa

In conclusione, il referendum si sta sempre più configurando come uno scontro politico interno alla sinistra e tra la sinistra e il governo, più che un’occasione di riforma normativa. La fronda di Gentiloni ha sollevato un problema reale: può un partito affrontare una consultazione popolare senza prima chiarire le sue fratture interne? La risposta arriverà con l’affluenza e l’esito delle urne.

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