Crepet: energia positiva dai giovani, ma attenzione ai rischi
Paolo Crepet, psichiatra e sociologo, è intervenuto sul tema della Flotilla diretta a Gaza e sulle mobilitazioni che l’hanno accompagnata in diverse piazze italiane ed europee. Se da un lato riconosce «uno squarcio di energia in un mondo che sta diventando sempre più piatto», soprattutto tra i giovani, dall’altro invita a non confondere l’impegno civile con azioni violente: «Se la risposta è violenta, allora è la stessa minestra rigirata».
Il declino delle libertà nel 2025
Crepet colloca la protesta dentro un quadro più ampio, legato alla progressiva erosione delle libertà: «Trent’anni fa non avrei mai pensato di arrivare al 2025 con così pochi diritti tra i cittadini della Terra». Secondo lo psichiatra, non si tratta solo della responsabilità delle tirannie evidenti, ma anche di nuove forme di controllo: «Pensare è diventato una cosa per privilegiati», denuncia, indicando la tecnologia digitale come motore di un’omologazione culturale soffocante.
La fine delle grandi contrapposizioni
Un altro elemento di riflessione riguarda la scomparsa della contrapposizione ideologica tra capitalismo e comunismo. «È finita questa gara», afferma Crepet, e con essa anche l’incentivo a garantire più diritti e benessere. Oggi, spiega, il mondo è frammentato in democrazie «a macchia di leopardo», circondate da regimi che scoraggiano chi prova a parlare di diritti umani.
Gesti simbolici che contano
Sul fronte mediorientale, Crepet invita a non sottovalutare i piccoli segnali di pace. Anche la telefonata di Benjamin Netanyahu all’emiro del Qatar dopo un raid a Doha viene letta come un gesto di civiltà: «Chiedere scusa di un bombardamento mi sembra già qualcosa». Non una svolta, ma un passo che dimostra come in politica internazionale i simboli abbiano un peso.
La lezione di Gandhi e Mandela
L’appello finale di Crepet è rivolto direttamente alle piazze: protestare è un diritto, ma senza colpire gli innocenti. «Se qualcuno prova orrore per un esercito che spara sui bambini a Gaza, bene: la risposta è non violenta». E cita Gandhi e Mandela come esempi di leader capaci di cambiare il mondo con la pace, non con la distruzione. La violenza urbana, ricorda, rischia di ferire chi non ha colpe: «Bloccare un treno di un povero pendolare… se questo non la chiamate violenza allora la pensiamo in maniera diversa».