lunedì, Dicembre 1

Famiglia nel bosco, il caso non si chiude: perché la nuova casa non basta e cosa accadrà ora

La vicenda della cosiddetta “famiglia del bosco” continua a crescere in complessità, tensione e indignazione pubblica. Quella che all’inizio sembrava una storia di disagio sociale e isolamento volontario si è trasformata in un caso nazionale, simbolo di un sistema burocratico che molti definiscono soffocante, invadente e incapace di distinguere tra reale pericolo e scelte di vita alternative. La famiglia Trevallion-Birmingham, al centro della vicenda, si trova oggi in un limbo psicologico, legale e sociale che sembra non avere fine.

Nonostante l’assegnazione di una nuova abitazione, concessa in comodato d’uso da un cittadino di Palmoli che ha voluto offrire un gesto concreto di aiuto, l’incubo non si è affatto concluso. Anzi, la sensazione, sempre più diffusa, è che la casa rappresenti solo uno dei tasselli richiesti da un apparato che pretende molto di più di un tetto sicuro. I tre figli, sottratti alla coppia in un intervento dei servizi sociali che ha scatenato un’ondata di indignazione, non sono ancora tornati dai loro genitori. E i motivi, come sempre, affondano nella burocrazia.

A rendere tutto ancora più surreale ci ha pensato l’intervento del sindaco di Palmoli, Giuseppe Masciulli, ospite a “Storie Italiane” su Rai1. Le sue parole, pur pronunciate con apparente prudenza e senso istituzionale, hanno aperto una crepa nel racconto ufficiale. Masciulli ha infatti fatto capire che il nodo centrale non è solamente l’abitazione, ma un insieme di valutazioni psicologiche, sanitarie e sociali che potrebbero rendere lungo – lunghissimo – il percorso di ritorno dei bambini alla propria famiglia.

“Non è solo una casa: servirà un percorso di collaborazioni e valutazioni”

La frase chiave del sindaco, quella che ha lasciato interdetti molti telespettatori, è stata la seguente: “Se i bambini torneranno a casa in tempi brevissimi, presumo che non sarà solo per la questione dell’abitazione, ma anche in base ad altri aspetti, per cui servirà la disponibilità della famiglia a collaborare con i servizi sociali per attività psico-socio-attitudinali”.

Un concetto che ha colpito per la sua ambiguità e per il suo peso. In pratica, anche se la casa è ora adeguata, la famiglia dovrà affrontare un percorso di esami psicologici, valutazioni sociali, monitoraggi medici e attività presso strutture comunali per dimostrare di essere idonea a crescere i propri figli. Una trafila che, per molti osservatori, somiglia a un processo inverso: non l’intervento in caso di reale rischio, ma il dover dimostrare di non essere un pericolo pur non avendo commesso nulla di grave.

Il paradosso: figli sottratti per essere nati e cresciuti… in un bosco

Il punto più controverso della vicenda resta la causa iniziale dell’intervento: i bambini sono stati prelevati perché nati e cresciuti in una casa in un bosco poco distante dal paese.

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