La Bulgaria si presenta all’appuntamento storico con l’eurozona nel peggiore dei modi: in piena crisi politica, con un governo caduto sotto la pressione di proteste anticorruzione sempre più imponenti. A tre settimane dall’ingresso ufficiale nell’area euro, il primo ministro Rossen Jeliazkov ha annunciato le sue dimissioni, dichiarando di aver «ascoltato la voce della società».
Un governo travolto dall’ondata anticorruzione
Le manifestazioni andavano avanti da settimane, soprattutto nelle grandi città, dove migliaia di cittadini – molti dei quali giovani – hanno denunciato anni di promesse mancate, di riforme mai completate e di una corruzione percepita come endemica. Il malcontento, cresciuto giorno dopo giorno, ha eroso la già fragile tenuta dell’esecutivo di centrodestra guidato da Jeliazkov, sostenuto da una coalizione eterogenea composta da Gerb, socialisti del Bsp e populisti di Itn.
L’annuncio delle dimissioni è arrivato dopo un’estrema giornata di tensione nelle piazze. Il presidente Rumen Radev avvierà ora le consultazioni con i gruppi parlamentari per tentare la formazione di un nuovo governo. Ma la possibilità che le trattative falliscano è altissima, aprendo la strada all’ennesimo esecutivo ad interim e – con ogni probabilità – a nuove elezioni anticipate.
La scintilla: la manovra accusata di favorire i corrotti
A far esplodere la situazione è stato il piano di bilancio per il prossimo anno: secondo i manifestanti, l’aumento di spesa avrebbe solo rafforzato le reti clientelari dei politici corrotti. Ma la manovra non è stata che la miccia. La frustrazione dei bulgari affonda in una realtà più profonda e radicata: anni di appartenenza all’Unione Europea non sono bastati a migliorare in modo significativo lo stato di diritto, la trasparenza e il funzionamento delle istituzioni.
Questo sentimento, ormai trasversale a più fasce della popolazione, ha trasformato una protesta economica in un vero e proprio movimento nazionale per la responsabilità politica. Nel mirino non c’è soltanto l’ultimo governo, ma un’intera classe dirigente percepita come immobile e incapace di riforme strutturali.
Una storia che si ripete: sette elezioni anticipate in cinque anni
La crisi politica in Bulgaria non nasce oggi. Dal 2020 il Paese ha vissuto sette elezioni anticipate, conseguenza diretta delle proteste anticorruzione che avevano già travolto il governo di Bojko Borisov. La frammentazione del Parlamento, la sfiducia crescente verso i partiti tradizionali e l’incapacità delle coalizioni di mantenere stabilità a lungo termine hanno reso il sistema politico estremamente fragile.
L’ingresso nella moneta unica avrebbe dovuto rappresentare un punto di svolta. Ma ora rischia di trasformarsi in un banco di prova delicatissimo.
Il rischio per l’Europa: “Un danno reputazionale per l’eurozona”
La turbolenza interna bulgara arriva nel momento meno opportuno possibile. A sottolinearlo è stato l’analista geopolitico Mario Bikarski (Verisk Maplecroft), secondo cui quanto accade a Sofia rappresenta un problema anche per Bruxelles: «Un Paese che entra nella zona euro non può essere scosso da instabilità politica che mette in discussione la sua credibilità fiscale».


















