lunedì, Dicembre 1

“A 48 anni giocano a padel con i jeans strappati”: la stoccata di Crepet alle famiglie moderne

Secondo Crepet, oggi il vero problema non è solo la droga in sé, ma una cultura della delega: genitori che danno denaro ai figli senza seguirli, istituzioni che preferiscono giovani disimpegnati piuttosto che critici, una società che considera trasgressione ciò che un tempo era semplice autonomia.

È un’accusa alla superficialità sistemica: la stessa superficialità che spinge qualcuno a correre in Suv a 150 km/h senza una ragione, a cercare eccessi per colmare vuoti interiori, a confondere libertà con assenza di limiti.

La critica a Milano: da “capitale morale” a “capitale confusa”

Crepet dedica una parte dell’intervista anche a Milano, città che definisce “capitale confusa”. Una definizione che colpisce perché arriva da chi ha vissuto la Milano delle idee, dei progetti, delle discussioni culturali. La Milano di Toscani e Fiorucci, fatta di serate senza rumore ma piene di parole.

Oggi, dice Crepet, la città non sa più dove andare. Troppo rumore, troppa corsa, troppa estetica. La cultura dello ieri – fatta di ascolto, apprendimento, dialogo – ha lasciato spazio a una frenesia senza scopo. Una visione che si inserisce perfettamente nel suo discorso sui Suv: rumore, massa, ingombro, potenza apparente. Una metafora che torna sempre.

Il miracolo agli Arcimboldi: “Le persone che stanno ad ascoltare”

Crepet chiude l’intervista con una riflessione che è quasi un manifesto: “Il miracolo sarà vedere persone che stanno un’ora e mezza ad ascoltare me che sto seduto, senza muovermi”. Una frase che sembra una provocazione, ma è in realtà una diagnosi: non sappiamo più ascoltare.

Il suo spettacolo al Teatro degli Arcimboldi, dice, sarà un successo proprio perché offre qualcosa che oggi manca: tempo dedicato, attenzione, silenzio, concentrazione. Il contrario esatto della vita iperattiva che celebra il Suv e la velocità fine a se stessa.

Il pubblico, secondo Crepet, paga per essere riportato a un ritmo umano. Un paradosso che dice molto sulla nostra epoca: per fermarsi bisogna acquistare un biglietto.

Il significato finale del Suv secondo Crepet

Alla fine, l’intervista non parla di automobili: parla di noi. Il Suv è solo il pretesto per dire che viviamo in un’epoca di:

  • adultescenza cronica, dove si rifiuta di diventare adulti;
  • consumismo emotivo, dove si comprano identità più che oggetti;
  • ipervelocità senza scopo;
  • rincorsa goffa allo status;
  • assenza di radicamento nei legami familiari;
  • vuoto culturale mascherato da eccesso di attività.

Il Suv è il simbolo perfetto del nostro smarrimento: grande, imponente, rumoroso, accelerato, ma spesso privo di direzione reale. Un contenitore che nasconde un vuoto, una corazza per un’identità fragile.

Per Crepet, la vera alternativa non è una scelta di mobilità, ma una scelta di profondità. Sostituire la corsa senza meta con il tempo lento dello Shangai. Sostituire l’urgenza con l’ascolto. Sostituire la fuga con il radicamento. È questa la rivoluzione che propone: non sociale, non politica, ma culturale e familiare.

Un messaggio che, come sempre, divide, fa discutere e lascia domande aperte. Forse proprio per questo colpisce così tanto.

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