Il confronto con Alcaraz è inevitabile: «Entrambi hanno talento, entrambi sono giovani, ma vivono il tennis in modo diverso. Sinner è metodico, perfezionista, concentrato solo sulla prestazione. Alcaraz invece riesce a integrare sport e leggerezza. Lo dice lui stesso: cerca di godersi anche la vita, di non essere solo tennis. Questo equilibrio lo aiuta nei momenti di maggiore tensione».
“Forse non si aspettava davvero di vincere”
Costa ipotizza che Sinner, pur essendo numero uno del mondo, possa aver vissuto la finale con un certo grado di stupore: «Lui stesso ha detto che non si aspettava di arrivare fino in fondo. Forse non si era ancora preparato, a livello mentale, alla possibilità concreta di vincere. E quando sei lì, con la racchetta in mano per chiudere, può emergere la paura di vincere. Succede, anche ai grandi».
Il momento chiave: quel servizio non entrato
Nel game decisivo, Sinner non è riuscito a servire con efficacia. «Durante tutto il match le percentuali di prime sono state basse. Nel tie-break, ancora peggio. Questo dimostra che la pressione mentale ha influito sul gesto tecnico. La mente condiziona tutto: spalla, braccio, scelta del colpo. Se sei anche solo un secondo in ritardo o più teso del normale, l’errore è dietro l’angolo».
Come si gestisce la pressione nel tennis
Il tennis è uno sport profondamente mentale: «Solo un terzo del tempo si gioca, il resto si pensa» sottolinea Costa. «Le pause — tra un punto e l’altro, tra un game e l’altro — sono momenti in cui l’atleta rielabora quello che è successo. E se non è allenato a farlo, quei pensieri diventano un peso». Esistono tecniche specifiche: gestione della respirazione, visualizzazioni, ripetizione di routine mentali. Tutte strategie per disinnescare l’ansia prima che si trasformi in panico.
Il fattore pubblico
Un altro elemento da non sottovalutare è il ruolo del pubblico. «Alcaraz ha saputo sfruttare il tifo del centrale del Roland Garros» spiega lo psicologo. «Sentirsi sostenuti può diventare una carica decisiva. Sinner, invece, ha vissuto un ambiente in parte ostile. E anche se lui è abituato a restare concentrato, il contesto può fare la differenza».
Costa ricorda come alcuni grandi campioni abbiano sempre lavorato su questo aspetto. «Nadal, ad esempio, andava sui campi giorni prima per studiare ogni dettaglio: le tribune, la luce, il rumore, persino la posizione dell’angolo. Tutto per non farsi sorprendere. Perché l’atleta, in quei momenti, non deve improvvisare. Deve già essere pronto».
Un passo falso da cui imparare
Nonostante la delusione, il percorso di Sinner non è in discussione. Anzi. «Fa parte della crescita anche sbagliare» sottolinea Costa. «È proprio da queste sconfitte che si diventa più forti. Se saprà lavorare sulla gestione mentale, il suo potenziale non ha limiti».
Il futuro è ancora tutto suo
Jannik Sinner ha chiuso la partita con un messaggio chiaro sui social: «Ho dato tutto quello che avevo. Questa volta non è bastato». Parole semplici, ma profonde. Non è bastato *questa* volta. Ma forse, proprio grazie a questa lezione, la prossima volta sì.