Il filmato incriminato mostrava un furgone bianco che circolava nei pressi della palestra frequentata da Yara nelle ore della sua scomparsa. Secondo i Ris, si trattava del veicolo di Bossetti, poi condannato all’ergastolo per l’omicidio della tredicenne. Tuttavia, nel 2015 emerse che il video non era un’unica registrazione, ma un collage di più immagini provenienti da diverse telecamere di sorveglianza, montate per ricostruire la presunta traiettoria del mezzo.
Quella precisazione – mai chiarita ai giornalisti – scatenò pesanti critiche da parte della stampa, che accusò i Ris di aver diffuso un documento potenzialmente fuorviante. Lago, sentendosi diffamato, aveva denunciato una ventina di giornalisti tra cui collaboratori di testate nazionali come Libero e Oggi. Tutte le querele penali sono poi state archiviate, mentre in sede civile la vicenda si è protratta per quasi dieci anni.
La motivazione della Corte
La sentenza d’appello richiama espressamente la decisione del Tribunale di Milano in un caso analogo, in cui era stato riconosciuto il diritto dei giornalisti di “esercitare la critica su un’operazione di comunicazione istituzionale discutibile”. Secondo i giudici bolognesi, le affermazioni dei giornalisti rientravano “nell’alveo del legittimo diritto di cronaca e critica, privo di finalità diffamatoria”.
Il video del furgone non è mai entrato formalmente nel processo penale contro Bossetti, ma resta uno degli elementi più discussi del caso Yara. La sentenza chiude definitivamente la disputa legale tra l’ex comandante del Ris e i giornalisti, sancendo la libertà di espressione come principio cardine dell’informazione giudiziaria.
Un caso che continua a far discutere
A oltre dieci anni dalla tragedia, l’omicidio di Yara Gambirasio continua a suscitare dibattiti e polemiche. La figura di Bossetti resta al centro di teorie e richieste di revisione, mentre la sentenza di oggi aggiunge un nuovo capitolo alla lunga saga giudiziaria e mediatica di uno dei casi più seguiti della storia recente italiana.