Il punto centrale dell’intervista ruota ancora attorno al DNA rinvenuto sugli indumenti della vittima, etichettato come “Ignoto 1” e attribuito a Bossetti. «Il DNA nucleare non dovrebbe resistere settimane all’aperto. E quello mitocondriale non c’era» accusa. Ma Fagnani lo blocca: «Per la scienza non ci sono dubbi. Il DNA nucleare identifica senza possibilità di errore».
Un alibi che non c’è
Bossetti non riesce ancora a spiegare dove fosse nel momento in cui Yara scomparve: «Non ricordo. So solo che pioveva, il telefono era scarico. Forse ero in giro per commissioni». La mancanza di un alibi verificabile è sempre stata uno dei punti deboli della sua difesa. Eppure lui continua a insistere: «Non l’ho mai vista. Che tipo di legame poteva esserci tra un uomo di 40 anni e una bambina di 13?».
Famiglia, lettere e fede: gli appigli di chi è dentro
Dal carcere di Bollate, Bossetti dice di ricevere ancora oggi molte lettere. «Dopo la serie Netflix sono aumentate. C’è chi mi sostiene, chi mi scrive. Rispondo sempre». Sulla moglie Marita Comi, nonostante tutto, afferma: «Mi è ancora vicina, mi supporta. È convinta della mia innocenza. I miei figli vengono a trovarmi ogni settimana».
Fede e futuro: “Non vedo una via d’uscita”
«Non riesco a immaginare il mio domani», dice. «Chiedo a Dio sostegno, non perdono. Non ho nulla da farmi perdonare». E conclude con due immagini forti: «Il giorno più bello? Il matrimonio. Il peggiore? Quello dell’arresto».
Una ferita ancora aperta
L’intervista non aggiunge nuove prove, ma riaccende il dibattito. Dopo tre gradi di giudizio, la giustizia italiana ha parlato. Vedremo se questa intervista riaprirà o meno il caso Bossetti.