Due giovani morti prematuramente – il primo nel 2006 a soli 15 anni per leucemia fulminante, il secondo nel 1925 a 24 anni per poliomielite – che hanno lasciato un segno indelebile nella vita dei compagni e dei loro insegnanti.
Sulla facciata della Basilica vaticana campeggiano i loro ritratti: Acutis con la sua maglietta rossa, Frassati in giacca e cravatta. Due icone di santità diverse e complementari: Carlo, patrono di Internet e simbolo di una fede vissuta nel digitale; Pier Giorgio, il giovane alpinista impegnato nella carità e nella spiritualità domenicana.
Carlo Acutis: tra ritardi, insufficienze e una fede nascosta
All’Istituto Leone XIII di Milano, Carlo era ricordato come uno studente normale, non sempre impeccabile. La professoressa di matematica Maria Capello racconta: «Non era appassionato alla mia materia, a volte arrivava in ritardo. Ho dato 5 a un santo!». Solo dopo si scoprì che i suoi ritardi erano dovuti alle attività di volontariato, svolte nel silenzio. Il professore di italiano Antonio Bertolotti lo descrive come «un ragazzo nella media, ma con grande passione per le materie umanistiche».
Il docente di religione Fabrizio Zaggia ricorda invece la sua curiosità insaziabile: «Alla quindicesima domanda lo rimandavo al banco». Carlo scriveva con una grafia minuscola, riempiendo i suoi temi di cinque o sei pagine. Con i compagni realizzò anche un video per promuovere il volontariato, bocciato dai professori: «Hanno bocciato il video di un santo», ricorda ironicamente Zaggia.
Pier Giorgio Frassati: dagli insuccessi al motto “Vivere non vivacchiare”
Frassati ebbe un percorso scolastico più complicato. Al liceo Massimo d’Azeglio di Torino fu bocciato due volte in latino prima di trasferirsi all’Istituto Sociale, dove trovò nuovi stimoli attraverso gli Esercizi Spirituali. Qui maturò una fede attiva e concreta che si traduceva nella carità quotidiana. Scrisse al padre una lettera di riscatto che i docenti ricordano ancora oggi come segno della sua determinazione.
Il suo motto, «Vivere non vivacchiare», è rimasto impresso come emblema di un cristianesimo vissuto con radicalità e passione sociale. I professori sottolineano come entrambi i futuri santi fossero attenti agli ultimi: Carlo donava sacchi a pelo e coperte ai senzatetto, Pier Giorgio dedicava tempo ed energie al servizio dei più poveri.
Dalla normalità alla santità
Alcuni compagni reagirono con sorpresa e perfino con un po’ di inquietudine di fronte alla notizia della canonizzazione: «La santità mette addosso un po’ di disagio, soprattutto se riguarda il compagno di banco», confida Bertolotti. Ma proprio in questa normalità si nasconde la forza della loro testimonianza: due studenti comuni, con voti non sempre brillanti e qualche bocciatura, che hanno trasformato la quotidianità in un percorso di santità.
Oggi, nella celebrazione solenne in Piazza San Pietro, la Chiesa li consegna al mondo come modelli per i giovani del terzo millennio: semplici, concreti, vicini ai problemi reali, ma capaci di vivere la fede con coraggio e radicalità.