lunedì, Settembre 16

La docuserie “Il caso Yara – Oltre ogni ragionevole dubbio”: le sconvolgenti rivelazioni della moglie di Bossetti

Una docuserie che esplora le sfaccettature del caso Yara

“Il caso Yara – Oltre ogni ragionevole dubbio” è una docuserie diretta da Gianluca Neri, con la collaborazione di Carlo Gabardini ed Elena Grillone nella sceneggiatura, e prodotta da Massimo Rocchi e Marco Tosi. Composta da cinque episodi, la serie approfondisce la scomparsa e l’omicidio di Yara Gambirasio, una ragazzina di 13 anni di Brembate di Sopra, in provincia di Bergamo. Yara è scomparsa nel novembre del 2010 e il suo corpo è stato ritrovato il 26 febbraio 2011. La docuserie analizza non solo il crimine in sé, ma anche l’indagine e le polemiche riguardanti i metodi investigativi utilizzati. Tra le interviste più rilevanti, quella di Marita Comi, moglie di Massimo Bossetti, condannato per l’omicidio di Yara, che condivide alcune rivelazioni davvero sconvolgenti.

Le rivelazioni di Marita Comi nella docuserie.

Marita Comi racconta dettagli intimi e personali del periodo in cui suo marito è stato arrestato. Ricorda chiaramente il momento in cui ha sentito al telegiornale che era stato arrestato l’assassino di Yara Gambirasio, senza sapere ancora che si trattava di Massimo Bossetti. “Mio figlio era seduto sul divano quando è uscita la notizia che avevano preso l’assassino di Yara. Io, guardandolo, ho pensato: ‘Meno male, lo hanno preso, finalmente’. In quel momento, mia figlia è entrata dal terrazzo urlando che stavano entrando i carabinieri. Ricordo solo che ero seduta in cucina a piangere, e poi mi hanno detto che mio marito era l’assassino di Yara”, racconta Marita.

Un’esperienza surreale e dolorosa

Marita descrive l’intera esperienza come surreale, paragonandola a un film. La famiglia ha vissuto momenti di grande paura e stress, con i bambini che avevano timore di uscire di casa e i giornalisti assediati fuori dalla loro abitazione. “Sembrava tutto assurdo. I bambini avevano paura di uscire, non volevano essere ripresi o farsi vedere. Avevo i giornalisti assediati fuori casa”, spiega Marita.

Il ruolo di Marita come investigatrice

Marita Comi ha inoltre confessato di aver interrogato il marito come se fosse stata un pubblico ministero. “È vero che l’ho pressato durante i colloqui. Mi sembra naturale, non potevo far finta di niente. Ho insistito, gli ho chiesto in tutti i modi di dire la verità, di dirmelo. Ho cercato di esserci a tutte le udienze”, dichiara. La pressione mediatica e l’intrusione nella loro privacy hanno aggravato ulteriormente la situazione. “Ciò che mi è dispiaciuto di più è il fatto che siano state fatte uscire sempre notizie intime, private, mie e di mio marito, sulle copertine dei giornali, in televisione. Queste cose ci hanno fatto veramente male. La tua vita, la tua privacy non esisteva più”, racconta.

Il verdetto e le sue conseguenze

Il verdetto di colpevolezza è stato uno shock per Marita, che si aspettava un’assoluzione. “Quando hanno letto il verdetto, siamo rimasti sconvolti. Io mi aspettavo un’assoluzione. Lui era disperato, piangeva, diceva che si voleva ammazzare, che non ce la faceva più. Abbiamo cercato tutti di confortarlo e di stargli vicino, ma sono stati momenti difficili e dolorosi”, ricorda. La vita della famiglia si è fermata a quel giugno 2014, segnando un punto di non ritorno nella loro esistenza.

L’impatto della docuserie

La docuserie “Il caso Yara – Oltre ogni ragionevole dubbio” rappresenta un’importante testimonianza che mette in luce non solo i dettagli del caso ma anche l’impatto emotivo e psicologico sulle persone coinvolte. Le rivelazioni di Marita Comi offrono uno spaccato umano e doloroso che va oltre le mere cronache giornalistiche. La serie, disponibile su Netflix, invita gli spettatori a riflettere sulle complessità delle indagini criminali e sulle vite stravolte da eventi drammatici.

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