Ranucci, “un chilo di tritolo” e bufera politica: accuse incrociate, protezione rafforzata
Un ordigno artigianale ha distrutto nella notte le auto di Sigfrido Ranucci e della figlia a Pomezia. Nessun ferito, ma la potenza è stata definita “potenzialmente letale”. Al coro di solidarietà seguono polemiche durissime: Saviano e Lerner evocano “classi dirigenti eversive”, il governo respinge e alza la guardia su sicurezza e indagini.
La deflagrazione e i primi rilievi
L’esplosione è avvenuta tra il 16 e il 17 ottobre in un’area residenziale di Pomezia. Due vetture — quella del conduttore di Report e della figlia — sono state incendiate dall’ordigno, giudicato dagli inquirenti come artigianale ma ad alto potenziale, con una carica stimata attorno a un chilo di esplosivo. La scena è stata messa in sicurezza da carabinieri, Digos, polizia scientifica e vigili del fuoco; il fascicolo resta a carico di ignoti mentre si analizzano telecamere, residui e possibili precedenti minacce.
Solidarietà istituzionale e linea del Viminale
Dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni è arrivata una ferma condanna dell’atto intimidatorio, con la riaffermazione del principio di libertà di stampa. Il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha annunciato il rafforzamento delle misure di protezione e un impegno prioritario a identificare i responsabili. Messaggi di vicinanza sono giunti anche da ministri, opposizioni, vertici Rai e associazioni di categoria.
Le accuse di Saviano e Lerner
Il fronte delle reazioni si è diviso sul “clima”. Roberto Saviano ha denunciato la delegittimazione come arma che trasforma i cronisti in bersagli, parlando di un contesto in cui chi colpisce “si sente autorizzato”. Gad Lerner ha evocato il ritorno di un’Italia “delle bombe e delle intimidazioni ai giornalisti scomodi”, attribuendo la regia a “classi dirigenti eversive”. Sono parole che hanno acceso lo scontro politico: dalla maggioranza è arrivato il no alle speculazioni e il richiamo a lasciare lavorare gli investigatori.
Usigrai, La Russa e il terreno più caldo
L’Usigrai ha puntato il dito contro il presidente del Senato Ignazio La Russa, legando l’attentato a una presunta “campagna d’odio” verso Report. La Russa ha replicato con una condanna netta e solidarietà personale e istituzionale a Ranucci, auspicando una rapida individuazione degli autori, parlando di “un gravissimo atto intimidatorio”. Il braccio di ferro rilancia una storica contrapposizione tra critica politica e tutela dell’inchiesta televisiva.
L’opposizione e il tema della tutela
Dal campo progressista, Angelo Bonelli ha ricordato minacce, pedinamenti e pressioni negli anni contro la redazione di Report, chiedendo a chi ha alimentato attacchi di “chiedere scusa”. Alessandro Di Battista ha parlato del rischio che la solitudine istituzionale dei giornalisti alimenti derive violente. Il punto, per entrambi, resta la protezione effettiva del giornalismo d’inchiesta, tra querele temerarie, campagne di delegittimazione e odio online.
Indagini e nodo politico
Gli inquirenti vagliano matrici diverse: la pista organizzata e quella del gesto isolato. In parallelo, il nodo pubblico è il confine tra critica e delegittimazione: fino a dove può spingersi una contestazione dura senza scivolare in un clima tossico che normalizza la minaccia? Al netto delle polemiche, la domanda resta aperta: basteranno condanne e scorte, senza un impegno condiviso a raffreddare i toni e garantire tempi certi di giustizia?