Rivolta in carcere contro Alessia Pifferi: accuse di violenza e insulti dalle altre detenute
Alessia Pifferi, la donna condannata all’ergastolo per aver lasciato morire di stenti la figlia Diana, denuncia di essere vittima di violenze all’interno del carcere.
Secondo quanto riportato, la detenuta sarebbe stata picchiata dalle compagne di prigione e sottoposta a continui insulti. Un referto medico attesterebbe che ha riportato ferite al volto, per le quali sono stati necessari quattro punti di sutura.
Denunce di aggressioni e minacce in carcere
Da tempo Alessia Pifferi lamenta di essere oggetto di vessazioni da parte delle altre detenute. Durante il processo ha dichiarato di essere costantemente insultata con epiteti come “mostro”, “assassina” e “devi morire”. Queste accuse sono state rilanciate anche dal Corriere della Sera, che ha riportato nuovi dettagli sulle presunte violenze subite dalla donna nel carcere di Vigevano.
Secondo la sua versione, le compagne di cella le avrebbero riservato un trattamento particolarmente ostile, culminato in un’aggressione fisica che le avrebbe causato ferite al viso. La Pifferi, per questi motivi, ha scelto di non presenziare in aula durante una recente udienza del processo di secondo grado.
L’ergastolo per la morte della piccola Diana
Alessia Pifferi, 38 anni, è stata condannata all’ergastolo in primo grado per omicidio volontario aggravato. La sentenza è stata pronunciata dalla Corte d’Assise di Milano il 13 maggio 2024, ritenendo che la donna abbia deliberatamente lasciato la figlia Diana, di soli 18 mesi, da sola in casa per sei giorni nel luglio 2022. La bambina, priva di cibo e acqua, è morta di disidratazione.
Secondo la motivazione della condanna, la Pifferi avrebbe agito per “futili ed egoistici motivi”, desiderosa di trascorrere del tempo con il compagno senza alcuna preoccupazione per la sorte della figlia. Nonostante la difesa abbia cercato di sostenere che l’imputata non avesse l’intenzione di uccidere la bambina, la Corte ha considerato il suo comportamento come un atto volontario e consapevole, confermando quindi l’accusa di omicidio volontario.
Indagini su psicologhe e legale della difesa
Nel corso del processo, è emerso un nuovo filone d’indagine denominato “Pifferi bis”, che vede coinvolti diversi professionisti. La difesa di Alessia Pifferi è finita sotto la lente della magistratura: l’avvocata Alessia Pontenani, alcune psicologhe e lo psichiatra Marco Garbarini sono indagati per ipotesi di falso e favoreggiamento.
Secondo le accuse, le psicologhe avrebbero manipolato test cognitivi per avvalorare una presunta infermità mentale della Pifferi. Inoltre, la donna sarebbe stata indotta a raccontare di presunti abusi subiti con lo scopo di ottenere attenuanti nel processo. Questo scenario ha portato a una richiesta di acquisizione di nuovi documenti, che però è stata contestata dal sostituto procuratore generale Lucilla Tontodonati.
Scontro sulla validità dei nuovi documenti
L’avvocato di parte civile Emanuele De Mitri, rappresentante degli interessi della madre e della sorella di Alessia Pifferi, ha richiesto l’acquisizione degli atti del fascicolo “Pifferi bis”. Tuttavia, il sostituto pg Tontodonati ha giudicato questa richiesta “inammissibile e tardiva”, sottolineando che gli atti in questione risalgono a prima della sentenza di primo grado e che, se fossero stati ritenuti rilevanti, sarebbero già stati utilizzati nel processo.
La Procura generale e la Corte d’Assise non erano state informate preventivamente di questa documentazione, il che ha sollevato ulteriori polemiche. Ora i giudici d’appello dovranno decidere se acquisire o meno questi nuovi elementi probatori, che potrebbero avere un impatto sull’esito del processo.
Un caso che continua a suscitare indignazione
Il caso di Alessia Pifferi ha scosso l’opinione pubblica, suscitando forti reazioni sia dentro che fuori dal carcere. La vicenda ha riportato al centro dell’attenzione temi come la responsabilità genitoriale, la tutela dei minori e la gestione delle detenute all’interno degli istituti penitenziari.
Mentre la difesa continua a cercare di ribaltare la sentenza di primo grado, l’accusa ribadisce che il comportamento della donna è stato intenzionale e non frutto di un semplice errore o di una condizione psicologica alterata. Nel frattempo, le tensioni in carcere non sembrano placarsi e la Pifferi continua a dichiararsi vittima di un trattamento violento e ostile da parte delle altre detenute.
In attesa dell’esito del processo d’appello, resta da vedere se le nuove indagini e le presunte irregolarità segnalate dalla difesa avranno un peso sulla decisione finale dei giudici.