mercoledì, Agosto 27

Scossone pensioni, la notizia appena arrivata: il nuovo piano del governo, è svolta

Pensioni, la nuova proposta del governo scuote il dibattito: il piano Durigon e i nodi da sciogliere

Il tema delle pensioni torna al centro della scena politica e sociale italiana. Con l’avvicinarsi della legge di Bilancio del 2026, il confronto sulla riforma previdenziale si fa sempre più acceso, e tra le varie ipotesi che circolano è spuntata una proposta destinata a far discutere.

 

A lanciarla è stato il sottosegretario al Lavoro Claudio Durigon, esponente della Lega, che ha messo sul tavolo un’idea innovativa ma anche controversa: utilizzare il Trattamento di Fine Rapporto (Tfr) come strumento per consentire l’uscita anticipata dal lavoro a 64 anni, invece che a 67.

 

Secondo Durigon, questa misura offrirebbe una nuova opportunità a migliaia di lavoratori, ma le implicazioni economiche e sociali sollevano non pochi interrogativi. La questione del Tfr, tradizionalmente considerato un “tesoretto” personale destinato al momento della cessazione del rapporto di lavoro, rischierebbe di cambiare radicalmente natura, diventando parte integrante del calcolo pensionistico.

Come funziona oggi e cosa cambierebbe con la proposta

Attualmente, la possibilità di andare in pensione a 64 anni riguarda solo i lavoratori che rientrano nel sistema contributivo puro, cioè coloro che hanno iniziato a versare i contributi previdenziali dopo il 1995. Per esercitare questa opzione, però, occorre soddisfare un requisito stringente: avere maturato un assegno pari ad almeno tre volte l’assegno sociale, che oggi corrisponde a 1.616 euro lordi al mese.

Per raggiungere questa soglia, è consentito sommare alla pensione maturata presso l’INPS anche la rendita proveniente da eventuali fondi di previdenza complementare. In pratica, il lavoratore può integrare la pensione obbligatoria con quella derivante da strumenti di risparmio privati.

La proposta di Durigon spingerebbe oltre questa logica, includendo nel calcolo anche il Tfr accantonato presso l’INPS. Questo varrebbe soprattutto per i dipendenti di aziende con oltre 50 lavoratori, visto che nelle imprese più piccole il Tfr rimane in azienda. In questo scenario, la liquidazione verrebbe trasformata in una rendita, sottoposta a una tassazione agevolata simile a quella dei fondi pensione.

Una novità non da poco, perché permetterebbe anche ai lavoratori appartenenti al cosiddetto sistema misto – ossia coloro che hanno versato contributi sia prima che dopo il 1995 – di accedere all’uscita a 64 anni. Tuttavia, per questi soggetti la pensione verrebbe calcolata interamente con il più rigido metodo contributivo, e non con quello retributivo, generalmente più favorevole.

Le critiche: “Il Tfr è salario differito, non un costo da scaricare sui lavoratori”

Se da un lato l’iniziativa è stata presentata come una possibilità di maggiore flessibilità, dall’altro non sono mancate reazioni dure da parte di sindacati e opposizioni.

La Cgil ha bocciato l’idea senza mezzi termini, sostenendo che il Tfr rappresenta un diritto intoccabile dei lavoratori, essendo parte del salario differito. Utilizzarlo per finanziare l’uscita anticipata equivarrebbe, secondo il sindacato, a far ricadere interamente sui dipendenti il costo della riforma, privandoli della liquidazione al termine della carriera.

La segretaria generale della Cisl, Daniela Fumarola, ha adottato toni più cauti ma ugualmente critici. Ha invitato il governo a non fare “fughe in avanti” e a mantenere un dialogo costruttivo con le parti sociali, sottolineando l’importanza di un confronto trasparente prima di introdurre cambiamenti così rilevanti.

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