Un weekend da 88 milioni e 70 % di seggi deserti
Alle 23 di domenica 9 giugno la fotografia è impietosa: affluenza al 30 %. In numeri nudi: 17,5 milioni di italiani su 58,9 aventi diritto. Il resto — quasi 41 milioni — è rimasto a casa o in spiaggia, ignorando una consultazione che doveva far tremare il governo Meloni. Il costo? Oltre 88 milioni di euro per allestire 61 538 seggi vacanti, arruolare 246 mila scrutatori e stampare 80 milioni di schede finite al macero.
Jobs Act boomerang: Pd contro Pd
Tra i quesiti figurava l’abrogazione delle norme cardine del Jobs Act, riforma varata proprio dal Partito Democratico nel 2014. Un cortocircuito in piena regola che ha lasciato perplessi tanto gli elettori quanto gli osservatori interni. «Ci siamo sparati sui piedi», ammette un deputato Dem che chiede anonimato. Risultato: l’elettorato non si è mobilitato, preferendo giudicare incoerente la battaglia.
La cittadinanza “facile” convince solo sulla carta
Il quesito simbolo sullo ius culturae — dimezzare da 10 a 5 anni l’attesa per la cittadinanza extracomunitaria — ha fatto segnare un 60,4 % di “sì”. Ma il dato è viziato da un campione ristretto: appena il 30 % è entrato in cabina, di cui quasi 5 milioni hanno scelto il “no”. In termini assoluti i favorevoli non arrivano neppure a 11 milioni: decisamente poco per vantare un mandato popolare.
I numeri che smentiscono la “soglia Landini”
Secondo YouTrend di Lorenzo Pregliasco, il fronte progressista si era illuso di superare almeno i 12,3 milioni di “sì” necessari per rivendicare un successo morale. Il conteggio ufficiale dice altro:
- Quesito licenziamenti: 12,25 mln di “sì”
- Quesito precarietà: 11,9 mln
- Quesito salario minimo: 11,4 mln
Nemmeno il voto estero (circa 1,1 mln di schede valide) sposta l’ago oltre quota 13 mln, cioè appena sopra i 12,6 mln di preferenze prese da Fratelli d’Italia nel 2022. Il colpo mediatico svanisce: i numeri non certificano alcuno “sfratto” al governo.
Il malessere dei territori
Nei capoluoghi del Sud l’affluenza si è fermata in media al 22 %. Ma neppure in feudi rossi come Firenze (38 %) o Bologna (41 %) gli elettori hanno affollato le urne. Un consigliere comunale emiliano confessa: «La gente chiede contratti stabili e sanità locale. Ha percepito il referendum come guerriglia di palazzo».
Quando la “ripartenza” divorza dall’economia reale
Gli esperti di lavoro ricordano che l’Italia ha 3 milioni di part‑timer involontari ma anche 1,1 milioni di posti vacanti per mancanza di competenze digitali. Flessibilità contrattuale, investimenti hi‑tech e politiche migratorie selettive restano le leve chiave. Tuttavia la campagna referendaria ha preferito TikTok e talk show, ignorando un tessuto produttivo che fatica a trovare saldatori, infermieri, data analyst.
La frattura social‑reale
Gli organizzatori hanno puntato su influencer, meme e dirette Instagram. Eppure, un sondaggio SWG post‑voto svela che il 57 % degli under‑30 non sapeva elencare nemmeno due dei quattro quesiti. Il «referendum di civiltà» si è così trasformato nel «referendum di nicchia».
Il conto politico (e l’amaro calice progressista)
Il flop consegna tre certezze:
- L’astensionismo strutturale (70 %) diventa il vero partito di maggioranza.
- Il Pd esce diviso tra linea Schlein (identitaria) e linea realista dei governatori.
- L’asse sindacati‑M5S‑AVS non riesce a convertire l’attivismo online in voti fisici.
Intanto Palazzo Chigi archivia la pratica: nessuno sfratto, nessuna consultazione popolare da subire per tre anni. Il centrodestra gongola e rilancia sul taglio del cuneo, mentre la sinistra deve spiegare agli italiani perché ha speso 88 milioni per un risultato “politicamente dannoso”.