La produzione interna di droni a lungo raggio è in forte aumento e l’Ucraina punta a intensificare gli attacchi contro le infrastrutture energetiche russe, in particolare le raffinerie. Una strategia che si affianca al regime di sanzioni imposto da Stati Uniti ed Europa.
Pressione sull’economia russa
Le ultime misure americane contro colossi energetici come Lukoil e Rosneft hanno contribuito a far scendere il prezzo del greggio russo sotto la soglia dei 40 dollari al barile, livello considerato critico per la sostenibilità del bilancio statale. Il Cremlino sta reagendo potenziando la cosiddetta “flotta ombra” e ricorrendo a reti di società intermediarie per aggirare i divieti.
La crescita economica resta debole. Nei primi tre trimestri dell’anno il Pil russo è aumentato di appena lo 0,6%, sostenuto quasi esclusivamente dalla spesa pubblica, in particolare quella militare. La difesa assorbe oggi oltre il 7% del Pil, una quota paragonabile agli ultimi anni dell’Unione Sovietica.
Fragilità nascoste
L’inflazione ufficiale si mantiene intorno al 6%, mentre i tassi di interesse restano molto elevati. Per sostenere il sistema, Mosca fa sempre più affidamento sul debito interno, con titoli acquistati dalle banche e rifinanziati dalla Banca Centrale. Un meccanismo che non pesa formalmente sul debito pubblico, ma che aumenta la vulnerabilità complessiva dell’economia.
La strategia russa sembra quindi puntare a guadagnare tempo sul piano militare e a spezzare la coesione occidentale su quello politico. In questo quadro, il sostegno dei Paesi Brics rappresenta per Mosca una risorsa chiave per compensare l’isolamento dai mercati occidentali.


















