L’ex comandante ha raccontato un episodio chiave: «Mi recai con Stasi nel capannone del padre. Notai subito che c’era un sistema d’allarme. Ma non fu mai esaminato nei tempi giusti. Il tecnico arrivò solo un mese e mezzo dopo, quando i dati erano già persi. Anche la bicicletta mostrata non corrispondeva alla descrizione della signora Bermani, eppure nessuno approfondì».
Dubbi su Stasi: “Forse non si è mai avvicinato al corpo”
Nonostante la condanna definitiva, Marchetto ha espresso perplessità sul coinvolgimento di Alberto Stasi: «All’inizio pensavo fosse lui. Ma quando gli chiesi che volto avesse Chiara, mi rispose ‘pulito’. Eppure Chiara era coperta di sangue. Forse non si è nemmeno avvicinato. Nella telefonata al 118 disse: ‘Potrebbe essere morta’, non ‘è morta’. Quel dettaglio mi ha sempre colpito».
La testimonianza ignorata e il misterioso SUV
Un altro punto critico riguarda la testimonianza di Giuseppe Muschitta, supertestimone del processo: «Parlò di una ragazza con caschetto e di un SUV nero. Dettagli precisi, confermati anche da un commerciante. Nessuno seguì quella pista».
Il caso Ferri: “Impossibile credere al suicidio”
Marchetto ha infine parlato del meccanico Ferri, trovato morto in circostanze sospette: «Sfido chiunque a dire che si è suicidato tagliandosi polsi e collo in uno spazio di 50 cm. Non si è mai trovata l’arma. Un collegamento esiste».
“Mi hanno fatto fuori, ho avuto crisi depressive”
Il comandante conclude con amarezza: «Spero che si trovi il vero colpevole. Se fosse un altro, è inevitabile che Stasi venga scagionato. Dopo aver chiesto indagini su un’altra famiglia, sono stato estromesso, ho avuto crisi depressive. Qualcuno voleva farmi del male. E ci è riuscito».