«L’autopsia mostra segni compatibili con una scarpa, ma non con quelle famose “a pallini”. Questo potrebbe indicare la presenza di una seconda persona sulla scena del crimine», afferma Manieri.
L’aggressore avrebbe quindi preso un vaso in ottone dal portavasi e colpito la vittima alla testa. Nel cadere, Chiara sarebbe finita con il volto proprio sopra il portavasi, provocandosi così le escoriazioni al viso. I successivi colpi alla nuca avrebbero causato le ferite craniche. «Uno dei killer potrebbe averla immobilizzata con un ginocchio sulla schiena, spiegando così l’enfisema polmonare rilevato», prosegue l’esperto.
Macchie di sangue, impronte e… luminol
Secondo Manieri, le macchie sotto il divano spostato nella scena del crimine rafforzerebbero la sua tesi: il luminol avrebbe evidenziato segni semicircolari compatibili con gli anelli di un portavasi. «Potrebbe essere stato lavato in doccia, ecco perché non è mai stato trovato nulla», ipotizza.
Chi era Enrico Manieri e perché si occupa del caso
Manieri ha alle spalle l’esperienza da consulente nel processo d’Appello contro Pietro Pacciani per il caso del Mostro di Firenze. È entrato nel caso Garlasco appena due mesi fa, dopo essere stato invitato come ospite su un canale YouTube. «Troppe cose non quadravano – racconta – come l’assenza di sangue sulla schiena o la traccia sulla cornetta del telefono». Da lì, ha deciso di fare test personali acquistando due telefoni identici su eBay. I suoi video sul caso hanno già superato le 70.000 visualizzazioni.
Teoria già segnalata a Procura e difesa
L’ipotesi non è rimasta solo sui social: Manieri ha inviato la sua ricostruzione alla difesa di Alberto Stasi e successivamente anche alla Procura. «Chissà, magari potrebbero riaprire le indagini o trovare conferme», conclude.