Ma il richiamo di Rampelli riapre una faglia storica nella coalizione: dalle simpatie personali coltivate in passato da Silvio Berlusconi ai rapporti politici della Lega con Russia Unita prima della guerra, fino alla diffidenza strutturale di FdI. La domanda è se l’allarme ideologico sposterà l’asse della narrazione o resterà un avviso ai naviganti rivolto a Washington in vista dei prossimi incontri.
Europa, sovranità e il nodo delle “garanzie”
In parallelo, le capitali europee ribadiscono i paletti: confini non modificabili con la forza, niente decisioni «sull’Ucraina senza l’Ucraina», garanzie di sicurezza reali e di lungo periodo. Se il confronto Usa–Russia virasse su scambi territoriali, per Roma e Bruxelles il costo politico sarebbe altissimo. Ecco perché, nell’appello di Rampelli, l’elemento ideologico diventa anche leva negoziale: mettere in guardia gli alleati da un compromesso che normalizzi le ambizioni imperiali del Cremlino.
Tra propaganda, memoria e realpolitik
Resta un interrogativo: quanto pesano i simboli (felpe, bandiere, lessico) rispetto alla strategia militare ed energetica di Mosca? L’evocazione dell’Urss parla alla memoria di un’Europa che ha conosciuto cortine e diktat; la realpolitik, però, si gioca su linee del fronte, sanzioni, forniture e garanzie verificabili. L’allarme di Rampelli fotografa uno stato d’animo diffuso nel suo elettorato; tradurlo in politica estera significa adesso misurarlo con le carte che arriveranno sul tavolo di Washington.
Cosa succede adesso
In vista del prossimo giro di colloqui, l’esecutivo italiano dovrà tenere insieme sostegno a Kyiv, coesione europea e rapporti con la Casa Bianca. Il messaggio interno è chiaro: nessuna indulgenza verso un racconto che minimizzi la natura ideologica dell’aggressione. Ma basterà questo a condizionare le scelte americane? E, soprattutto, l’allarme identitario rafforzerà la posizione italiana al tavolo o irrigidirà gli spazi di mediazione?