Anche l’eurodeputata Elisabetta Gualmini non risparmia critiche. Il suo j’accuse è netto: “Mobilitare tutto il partito per un referendum contro il ‘vecchio Pd’ si è rivelato un boomerang. È stato un voto politico contro se stessi.” Le parole sono taglienti, e il messaggio chiaro: chi voleva fare tabula rasa ora si trova costretto a fare i conti con un fallimento su tutta la linea.
Il caso cittadinanza: un altro autogol
Emblematico il quinto quesito, quello che proponeva di abbassare da 10 a 5 anni il periodo minimo di residenza per ottenere la cittadinanza italiana. Anche qui, nonostante il 64% dei voti favorevoli tra i pochi andati alle urne, l’affluenza bassa dimostra che neppure l’elettorato di sinistra ha sposato del tutto la linea del partito.
Vecchio Pd vs Nuovo Pd: è guerra totale
Il fallimento delle urne sembra ridare fiato a quelle anime del “vecchio Pd” che Elly Schlein aveva messo da parte. “Magari è il momento di una discussione franca, anche con chi è stato rottamato troppo in fretta,” suggerisce qualcuno. Una vendetta politica silenziosa, ma pungente. Il nuovo corso sembra già in discussione.
Una leadership sotto assedio
Il “nuovo corso” targato Schlein è sotto esame. Per alcuni è già al capolinea, per altri necessita di una riflessione profonda. Il voto ha mostrato una distanza enorme tra la narrazione interna del partito e la realtà del Paese. Ora si apre una fase turbolenta per il Pd, che rischia di implodere sotto il peso delle sue stesse contraddizioni.
La domanda è inevitabile: riuscirà Schlein a sopravvivere alla resa dei conti o sarà travolta dal “vecchio Pd” che aveva provato a rottamare?