lunedì, Maggio 12

Sport in lutto, se ne andato un mito

Un artigiano del corpo, un amico dell’anima

Borra non era solo un professionista della riabilitazione. Era molto di più. Era una presenza discreta ma costante, una figura capace di raccogliere i frammenti emotivi che accompagnano un infortunio, una sconfitta, un crollo psicologico. Quando un atleta si rivolgeva a lui, non cercava solo un trattamento fisico, ma una guida, un alleato, un luogo sicuro.

 

Non prometteva soluzioni rapide né guarigioni miracolose. Lavorava con il tempo, con la verità, con l’ascolto. Credeva che il corpo, per guarire davvero, avesse bisogno di sincerità, non di scorciatoie. È stato vicino anche a leggende del basket come Bob McAdoo e al campione dell’alto Gianmarco Tamberi, che gli aveva dedicato la vittoria agli Europei di Roma. Tutti, in un modo o nell’altro, sono stati toccati dal suo metodo unico, fatto di rispetto e profondità.

Anche il mondo dello spettacolo si affidava a lui

Fabrizio Borra non era conosciuto solo nel mondo sportivo. Anche il mondo dello spettacolo si è aggrappato alla sua umanità. Attori, comici e musicisti trovavano in lui un punto di equilibrio. Roberto Benigni, Fiorello e Jovanotti sono solo alcuni dei nomi che si sono affidati alle sue cure.

Particolarmente significativa è stata la testimonianza di Jovanotti, che lo ha definito “l’uomo che mi tiene sul palco”. Dopo il grave incidente in bici nella Repubblica Dominicana, fu proprio Borra a seguirlo nel lungo percorso di riabilitazione, passo dopo passo, senza mai cercare i riflettori, come era nel suo stile.

Un approccio personalizzato, sempre

Quello che rendeva unico Fabrizio Borra era la sua capacità di adattarsi a ogni persona. Non aveva una formula universale, una tecnica da applicare indistintamente. Ogni incontro era nuovo, ogni paziente un mondo da esplorare con attenzione e rispetto. Sapeva che ogni dolore ha la sua radice e che ogni storia merita di essere ascoltata senza giudizio. Questo lo rendeva speciale: un vero e proprio artigiano dell’anima, oltre che del corpo.

L’ultimo a uscire, sempre

Chi ha avuto il privilegio di lavorare con lui, lo ricorda spesso come l’ultimo ad andarsene. Rimaneva nella stanza anche dopo che tutti se ne erano andati, con un asciugamano in mano e un pensiero ancora da completare. Non era un amante dei social media, non aveva un sito pieno di foto o recensioni. La sua pubblicità era il passaparola, la stretta di mano, la riconoscenza sincera di chi aveva ricevuto qualcosa di prezioso.

Era un poeta dell’ascolto, in un mondo che corre veloce e che urla per farsi notare. Lui, invece, sussurrava. E proprio in quei sussurri risiedeva la sua forza.

Un’eredità profonda e difficile da insegnare

Oggi, con la sua scomparsa, tanti si rendono conto di quanto fossero importanti quei piccoli gesti, quelle parole lente, quelle attese piene di senso. Fabrizio Borra lascia un’eredità che non si insegna nelle scuole: la capacità di esserci davvero. Di sostenere senza invadere. Di curare senza pretendere. Di dire “ci sono” anche quando nessuno ti guarda più.

Se n’è andato come ha vissuto: in silenzio, senza clamore. Ma dietro di sé lascia un vuoto colmo di gratitudine, di storie salvate, di vite rimesse in cammino.

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