Uno dei dettagli più emblematici riguarda una cavigliera appartenente a Chiara Poggi, che non è mai stata sottoposta ad esami specifici. La Bruzzone ha spiegato che oggi, dopo 18 anni, è difficile se non impossibile ottenere risultati significativi da oggetti conservati così a lungo.
“Il tempo non è amico delle prove biologiche – ha osservato – e ritengo che quella cavigliera non possa più rappresentare un elemento probatorio valido. Lo stesso vale per altri materiali lasciati in sospeso durante le prime fasi delle indagini”.
La criminologa ha anche evidenziato come l’incidente probatorio disposto recentemente dal giudice per le indagini preliminari Daniela Garlaschelli sia un passo importante, ma probabilmente tardivo. La Procura ha infatti richiesto nuovi accertamenti per fare luce sulle responsabilità di Andrea Sempio nell’omicidio della giovane Chiara, ma il tempo trascorso complica ogni possibile sviluppo concreto.
Il contesto processuale: Stasi, Sempio e il senso di giustizia
Secondo Roberta Bruzzone, ciò che emerge da questa vicenda va oltre le singole responsabilità individuali. “Non si tratta solo di Stasi o di Sempio – ha spiegato – ma di come il sistema giudiziario riesce a rispondere ai cittadini. Quando ci sono cambi di rotta, archiviazioni, nuove indagini e dubbi continui, la fiducia nella giustizia vacilla”.
Nonostante la sentenza definitiva nei confronti di Alberto Stasi, gli avvocati della parte civile continuano a sostenere la validità dell’impianto accusatorio. Per loro, le prove emerse durante il processo e gli elementi raccolti nel corso degli anni confermano la colpevolezza dell’ex fidanzato di Chiara.
La criminologa, però, invita a non perdere di vista la complessità del caso e la necessità di garantire la massima trasparenza e rigore anche nelle fasi post-sentenza. Secondo lei, gli “errori iniziali” e la mancanza di tempestività nell’analisi delle prove potrebbero aver condizionato in modo irreparabile l’esito delle indagini.
Una lezione per il futuro: l’importanza della tempestività nelle indagini
Il delitto di Garlasco, al di là della sua tragica dimensione umana, rappresenta anche un caso di studio per investigatori, magistrati e criminologi. La lentezza con cui alcune piste sono state esplorate e il ritardo nell’analisi di tracce potenzialmente decisive sono segnali di una macchina investigativa che, almeno in quel momento storico, ha mostrato dei limiti.
Come sottolineato da Bruzzone, “queste vicende non solo colpiscono le famiglie coinvolte, ma scuotono anche l’intera società. È fondamentale imparare dai propri errori e investire in tecnologie e metodologie investigative più avanzate e rapide”.