Per l’ex ministra, il silenzio della premier rappresenterebbe «una grave omissione», indice di un approccio selettivo alle condanne della violenza, che diventano strumento di battaglia politica.
L’accusa di deriva autoritaria
Bindi ha inoltre avvertito sul rischio che simili tragedie vengano usate «per criminalizzare il dissenso». Nel mirino, i decreti sicurezza approvati dal governo, accusati di trasformare «in reato il dissentire o l’essere poveri». Parole pesanti, che riportano il discorso sul piano interno e collegano il caso americano a quello italiano.
Dal caso Kirk al dibattito interno
Le affermazioni di Bindi hanno spostato il focus dal delitto avvenuto negli Stati Uniti alla gestione del conflitto politico in Italia. Per alcuni osservatori, il collegamento tra l’omicidio Kirk e la mancata condanna dell’assalto alla CGIL appare forzato, ma evidenzia la volontà di portare la discussione sul terreno dell’autoritarismo percepito del governo.
Il rischio di dimenticare la vittima
La polemica, tuttavia, ha un effetto collaterale: la figura di Charlie Kirk, che avrebbe dovuto restare al centro del dibattito come vittima di odio politico, rischia di scomparire dietro le accuse e le contrapposizioni. Così, il caso che poteva unire le forze democratiche contro la violenza viene invece assorbito in nuove divisioni e conflitti interni.