Ma che, nel 2007, non venne considerata utile ai fini investigativi. Capra sottolinea: «Se ora diciamo che è attribuibile, allora dobbiamo accettare che anche altri casi possano essere messi in discussione».
Il paragone con il caso Yara Gambirasio
Il genetista ha poi fatto un paragone diretto con un altro dei casi più noti della cronaca nera italiana: quello di Yara Gambirasio.
Capra fu consulente del pool difensivo di Massimo Bossetti, condannato per l’omicidio della ragazza.
E la sua posizione è chiara: «“Se mettiamo in dubbio la perizia fatta sul Dna trovata sulle unghie di Chiara Poggi allora mettiamo in dubbio tutto, prendiamo impronte giudicate non utili secondo il Ris di Parma e ora diciamo che sono utili e attribuibili. Va bene tutto, ma se si può mettere in discussione il lavoro degli esperti di Parma allora perché non farlo anche con il Dna di Bossetti che invece va accettato così e basta?”».
Un’affermazione che rischia di riaccendere anche quel processo, già segnato da anni di polemiche e revisioni richieste senza successo.
Dubbi, risorse e giustizia
Capra invita a non sottovalutare le implicazioni: «Delle due l’una: o quell’impronta è utile, o non lo è. E se uno ha ragione e l’altro torto, ci si deve chiedere anche come vengono spesi i soldi pubblici per le indagini scientifiche».
Il genetista non nega che la scienza forense possa evolversi, ma mette in guardia contro una delegittimazione costante degli esperti: «O si rispetta il lavoro fatto nei laboratori, oppure si apre un vaso di Pandora che rischia di travolgere l’intero sistema».
Un precedente pericoloso?
Le sue parole arrivano in un momento delicatissimo per l’indagine bis di Garlasco. Ma aprono anche a una riflessione più ampia: è possibile riscrivere la verità processuale a distanza di tanti anni, basandosi su elementi prima considerati ininfluenti? E soprattutto: quali altri casi, a questo punto, potrebbero essere riaperti?