domenica, Agosto 17

“Se non sei al tavolo, sei nel menù”: Vannacci scatena la bufera dopo l’Alaska

Il proverbio sardo che apre il post e il bersaglio dei negoziati

«Su molenti sardu du frigasa una borta scetti» (“l’asino sardo lo freghi una volta sola”). Con questa frase d’impatto, Roberto Vannacci introduce un lungo intervento in cui boccia l’idea di un cessate il fuoco o di un accordo provvisorio sul dossier ucraino. Per l’ex generale, dopo quella che definisce la “truffa” degli accordi di Minsk, Mosca accetterebbe soltanto un trattato definitivo, blindato da garanzie solide e procedure di controllo certosine.

«In guerra contano i fatti»: territori e neutralità fuori dalla trattativa

Il cuore del messaggio è netto: «in guerra i fatti contano più del diritto e della morale». Da qui la tesi che i territori occupati non debbano essere oggetto di negoziazione, così come sarebbe fuori discussione qualsiasi “neutralità garantita” dell’Ucraina. Nello schema evocato da Vannacci, l’adesione di Kiev alla Nato sarebbe stata esclusa “sin dall’elezione di Trump”, e il perimetro del dialogo dovrebbe concentrarsi su garanzie e verifiche più che su concessioni territoriali.

La metafora del potere: «Se non sei al tavolo, sei nel menù»

La frase che più ha fatto discutere è la sintesi di una visione cinica dei rapporti di forza: «Se non sei al tavolo allora sei nel menù». Con un registro volutamente provocatorio, Vannacci ironizza su leader europei e su Kiev, descrivendo l’incontro in Alaska come l’avvio di un percorso di distensione USA–Russia destinato a segnare i prossimi anni “malgrado i mal di stomaco degli europeisti convinti”. La sua lettura pretende di collocare la questione ucraina “a margine” di un negoziato più ampio su energia, Artico, commercio, armi nucleari e nuovi equilibri globali.

Le frecciate all’Europa e la fine dell’isolamento di Mosca

Nel post, l’establishment europeo è bersaglio di critiche esplicite: Vannacci sostiene che il vertice abbia già consegnato a Vladimir Putin un primo risultato, ossia la fine dell’isolamento in cui lo avrebbero voluto relegare Stati Uniti a guida Biden, Paesi baltici e Unione europea “a trazione socialdemocratica”. In controluce c’è l’accusa agli “europeisti” e ai “volenterosi” di limitarsi a fare il tifo dagli spalti mentre il gioco vero si decide altrove.

Tra realpolitik e linee rosse: la frizione con la posizione europea

La proposta implicita è una realpolitik senza fronzoli: trattato finale, garanzie verificabili, controllo e deterrenza. Ma la visione cozza con le linee rosse ribadite in ambito europeo, dove si ricorda che i confini non possono essere modificati con la forza e che l’Ucraina deve poter disporre di garanzie di sicurezza senza “diritti di veto” esterni sul suo percorso euro-atlantico. Il risultato è una faglia politica e culturale che attraversa opinione pubblica e istituzioni.

Quale spazio per Kiev e che cosa resta del “tavolo”

Se, come scrive Vannacci, l’agenda vera comprenderebbe grandi capitoli strategici e la pace in Ucraina solo “a margine”, la questione diventa il ruolo effettivo di Kiev al tavolo. Quanto margine negoziale residua se territori e status strategici sono considerati “non negoziabili”? E come si concilia l’idea di un accordo blindato con l’esigenza di una pace definita “giusta e duratura” dalle capitali europee?

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