Doccia fredda dopo l’Alaska
Dopo le giornate di annunci e ottimismo prudente seguite al vertice di Anchorage tra Donald Trump e Vladimir Putin, da Mosca arriva la smentita che riporta il dossier Ucraina al punto di partenza. Il ministro degli Esteri Sergej Lavrov ha chiarito che il presidente russo è disponibile a vedere Volodymyr Zelensky solo al termine di un negoziato già concluso, per siglarne l’esito. Niente colloquio “per trattare”, dunque, ma solo un faccia a faccia a accordo fatto.
Il vertice Putin–Zelensky? Solo a intesa già chiusa
Secondo Lavrov, a oggi Mosca intende semplicemente proseguire i contatti “sul solco di Istanbul”, con un possibile innalzamento del livello delle delegazioni per includere capitoli politici oltre a quelli militari. Ma qualsiasi incontro tra i due leader richiederebbe una “preparazione approfondita” e avrebbe senso solo per “mettere il punto finale”. Una linea che ripete la posizione già usata in passato per rinviare sine die l’ipotesi di un summit diretto con Kiev.
Garanzie di sicurezza: Mosca rivendica il potere di veto
Il passaggio più significativo riguarda le garanzie di sicurezza per l’Ucraina. Mentre a Washington si era iniziato a lavorare su un pacchetto occidentale (USA–UE) che escludesse l’ingresso nella NATO ma offrisse tutele effettive, Lavrov ha sostenuto che ogni garanzia dovrebbe essere “approvata da Mosca”, di fatto svuotandone l’efficacia in caso di nuove aggressioni. Il capo della diplomazia russa ha anche evocato un ruolo alla pari per la Cina tra i garanti, insistendo sulla formula della “sicurezza indivisibile”.
Una pretesa che riporta alla memoria il Memorandum di Budapest del 1994 — già violato dalla Russia — e che collide con l’idea, circolata dopo Anchorage, di un meccanismo occidentale credibile e autonomo, a regia USA–Europa, per dissuadere future offensive.