Il processo a carico di Stasi è stato segnato da numerosi ribaltamenti: inizialmente assolto, l’uomo è stato poi condannato in via definitiva a 16 anni di reclusione per omicidio volontario. Tuttavia, nel tempo sono emersi nuovi indizi e interpretazioni, che hanno lasciato spazio a molte domande e a un senso diffuso di incompletezza.
L’impronta palmare numero 33: un dettaglio carico di mistero
Tra gli elementi che hanno continuato ad alimentare dubbi c’è la cosiddetta impronta palmare numero 33, rilevata su una parete delle scale della casa dove fu uccisa Chiara. Per anni, questa traccia è rimasta in ombra, ma è tornata alla ribalta quando alcuni consulenti della famiglia Poggi hanno ipotizzato che potesse contenere residui di sangue e forse appartenere a una persona diversa dall’imputato condannato.
Secondo le analisi condotte in passato, l’impronta potrebbe contenere materiale biologico utile, forse persino DNA. Ma la sua origine è sempre rimasta incerta. Si è persino ipotizzato che potesse trattarsi della mano di un possibile complice o addirittura di un altro autore del delitto. Per questi motivi, la famiglia Poggi aveva chiesto di riaprire le indagini su quel particolare dettaglio, nella speranza di ottenere finalmente risposte certe.
La decisione della Procura: “Non si può procedere”
Tuttavia, la risposta ufficiale arrivata dalla Procura di Pavia è stata netta: non sarà possibile procedere con nuovi accertamenti sull’impronta palmare 33. La comunicazione, datata 2 luglio 2025, ha sancito che non esiste più materiale utile da analizzare. La provetta contenente i residui di intonaco prelevati dall’area interessata, che si pensava potesse fornire ulteriori indizi, risulta introvabile. Un dato che ha sconvolto i familiari della vittima.
Nel documento si legge che tutte le sostanze e i campioni erano già stati consumati durante le analisi precedenti. Inoltre, viene precisato che l’uso della ninidrina, il reagente chimico impiegato per far emergere le impronte digitali, avrebbe compromesso eventuali tracce biologiche presenti. Questo significa che anche se la provetta fosse stata ancora disponibile, probabilmente non sarebbe stato possibile ottenere nuovi risultati rilevanti dal punto di vista forense.
Le reazioni: amarezza e incredulità
La decisione della Procura ha lasciato sgomenta la famiglia Poggi, che da anni lotta per conoscere tutta la verità su quanto accaduto a Chiara. I legali dei genitori della giovane hanno espresso grande delusione, sottolineando come l’impronta palmare 33 rappresentasse l’ultima possibile pista investigativa ancora percorribile. La notizia che il materiale sia sparito e che non sia più esaminabile biologicamente ha colpito duramente chi sperava in una possibile riapertura del caso.
Anche i difensori di Alberto Stasi, condannato per l’omicidio, avevano più volte chiesto nuove analisi su quell’impronta, convinti che potesse fornire elementi utili per scagionarlo. Per entrambe le parti, quella traccia rappresentava una speranza: per la famiglia Poggi, la possibilità di scoprire un eventuale complice; per la difesa di Stasi, l’opportunità di dimostrare l’innocenza dell’imputato.
Un caso giudiziario lungo e complesso
Il delitto di Garlasco è diventato negli anni un simbolo della complessità del sistema giudiziario italiano. Con ben tre gradi di giudizio, ricorsi, perizie tecniche, e una continua esposizione mediatica, la vicenda ha assunto un rilievo nazionale. La condanna di Stasi non ha però messo fine alle polemiche e agli interrogativi.
L’elemento che ha sempre reso il caso controverso è proprio l’assenza di una prova schiacciante, sostituita da un insieme di indizi, incongruenze e analisi scientifiche spesso discordanti. Il DNA non ha mai fornito risultati definitivi, e la ricostruzione dei movimenti dell’imputato nel giorno dell’omicidio ha sollevato più domande che certezze.
Nessuna nuova perizia, ma i dubbi restano
La chiusura definitiva sull’impronta 33 non spegne le incertezze che ancora aleggiano attorno a questo tragico episodio. La mancanza di materiale da analizzare, unita alla possibilità che la prova sia stata contaminata, lascia aperto il dibattito tra chi ritiene il caso chiuso e chi, invece, continua a cercare risposte.
Anche tra l’opinione pubblica, il caso Garlasco resta uno dei più discussi degli ultimi decenni. Le trasmissioni televisive, i documentari e i libri dedicati alla vicenda continuano ad attirare attenzione, alimentando una narrazione che sembra non volersi mai concludere.