Queste rivelazioni si scontrano con la versione finora raccontata da Sebastiano Visentin, che ha sempre minimizzato eventuali dissidi, sostenendo che tra lui e la moglie non ci fossero problemi rilevanti. La testimonianza di Zivkovic, però, ribalta questa narrazione, evidenziando una frattura profonda nel rapporto di coppia.
La frase ambigua: “È stato un incidente”
Uno dei dettagli più inquietanti emersi dal colloquio in Procura riguarda una frase pronunciata da Sebastiano Visentin nei giorni immediatamente successivi alla scomparsa di Liliana, avvenuta il 14 dicembre 2021. Secondo quanto riportato da Zivkovic, l’uomo, in un momento di confidenza, avrebbe sussurrato: “È stato un incidente”. Una frase che, già di per sé, lascia spazio a molteplici interpretazioni. Tuttavia, subito dopo, avrebbe ritrattato, aggiungendo: “Sono fuori di testa, non so più quello che dico”.
All’epoca, queste parole furono forse considerate frutto dello shock. Ma oggi, con Visentin ufficialmente indagato per omicidio, assumono un significato decisamente più sinistro. La Procura ha infatti riaperto l’inchiesta, scartando l’ipotesi iniziale del suicidio e orientandosi ora verso un possibile delitto.
Un episodio di violenza psicologica: lo zaino lanciato
La Zivkovic ha inoltre raccontato un episodio avvenuto durante l’estate del 2021, che l’aveva molto colpita. All’arrivo della coppia nel suo hotel, sarebbe scoppiata una violenta lite. Sebastiano, secondo il suo racconto, era particolarmente nervoso e avrebbe scagliato uno zaino contro la moglie, ordinandole in modo aggressivo di portarlo in camera. Liliana, visibilmente turbata, si sarebbe chinata a raccogliere le borse, con le lacrime agli occhi, senza però cedere al pianto.
Un momento che per l’albergatrice ha rappresentato un campanello d’allarme evidente. Un gesto apparentemente semplice, ma che denota un clima di tensione e soprusi che, secondo la testimone, non era affatto sporadico.
Il giorno del ritrovamento: una telefonata rivelatrice
Il 5 gennaio 2022, giorno in cui fu ritrovato il corpo senza vita di Liliana Resinovich, Jasmina Zivkovic contattò Sebastiano Visentin. Durante quella telefonata, come ha riferito agli inquirenti, gli chiese se fosse possibile che la moglie fosse stata aggredita. La risposta fu secca e negativa: “Liliana non aveva nulla con sé”. Il tono di voce nervoso, le frasi dette e subito ritrattate, lasciarono in Jasmina una sensazione di disagio che oggi torna prepotentemente alla ribalta.
L’importanza della testimonianza per le indagini
Con il riavvio dell’indagine e il cambio di rotta da parte della Procura di Trieste, ogni testimonianza si carica di importanza fondamentale. In particolare, quella di Zivkovic rappresenta un potenziale spartiacque per far luce sul vero destino di Liliana. La sua ricostruzione si discosta nettamente dalla narrazione pubblica e offre elementi utili per comprendere la dinamica familiare e il contesto psicologico della vittima.
Un caso ancora aperto: nuove ipotesi e scenari
Il caso Resinovich a Trieste continua a generare domande, sospetti e una richiesta di verità che non si è mai placata, nemmeno dopo oltre due anni dal ritrovamento del corpo. La comunità triestina, ancora scossa dall’accaduto, attende risposte definitive. La Procura, intanto, prosegue il lavoro con nuovi interrogatori e l’analisi di ogni dettaglio che possa condurre alla verità.
Il nome di Liliana Resinovich è diventato simbolo di una vicenda complessa e dolorosa. La sua storia, oggi più che mai, è oggetto di attenzione da parte dell’opinione pubblica e delle autorità, nella speranza che giustizia venga finalmente fatta.