sabato, Aprile 19

Fenminicidio Giulia Cecchettin, la sorella rompe il silenzio sulla sentenza 

«Le aggravanti non sono un dettaglio tecnico», insiste. «Fanno la differenza tra una giustizia che riconosce la gravità dei fatti e una giustizia che li minimizza. La violenza non inizia con un coltello, ma molto prima, con atteggiamenti, segnali, parole. Se non li riconosciamo in tempo, l’irreparabile diventa inevitabile.»

Un sogno che suonava come un presagio

Nel suo messaggio, Elena condivide anche un ricordo toccante e inquietante: un sogno che Giulia le aveva raccontato pochi giorni prima della tragedia. In quel sogno, Giulia si trovava sola, in un luogo indefinito, inseguita da qualcuno. Provava una paura profonda, tanto che al risveglio aveva gli occhi pieni di lacrime..

«Non riesco a togliermelo dalla testa», le aveva confessato. All’epoca, quel racconto era sembrato solo un brutto sogno. Ma oggi, alla luce di quanto accaduto, assume un valore simbolico doloroso, come un segnale ignorato, come un presagio che nessuno è riuscito a interpretare per tempo.

L’indifferenza che uccide

Elena Cecchettin torna su un tema a lei molto caro: l’importanza di saper leggere i segnali che precedono la violenza. Per lei, Giulia non è stata uccisa soltanto dalla mano del suo assassino, ma anche da un sistema che spesso giustifica, minimizza o ignora quei segnali.

«Non è stato solo un atto di violenza fisica», scrive. «È stata anche la somma di tante piccole indifferenze, di tanti segnali sottovalutati, di giustificazioni che finiscono per diventare complicità silenziose.»

Un appello che scuote le coscienze

Nel finale del suo messaggio, Elena lancia un appello accorato a tutte e tutti. Le sue parole colpiscono come un pugno nello stomaco: «Se domani qualcuno penserà di poter colpire una donna 75 volte senza che questo venga considerato crudeltà, allora dovremo sentirci tutti responsabili. Perché la giustizia non deve solo raccontare il passato, ma anche proteggere il futuro.»

Un messaggio forte, destinato a far discutere e a smuovere coscienze. Un invito a non voltarsi dall’altra parte, a pretendere giustizia vera, profonda, consapevole. Perché, come ricorda Elena, una sentenza non è solo una punizione, ma anche un messaggio culturale, un esempio, un monito..

Una ferita ancora aperta

La vicenda di Giulia Cecchettin ha profondamente scosso l’Italia. Il suo volto, la sua storia, la sua tragica fine sono diventati simbolo di una battaglia che riguarda tutti: quella contro la violenza di genere, contro il femminicidio, contro una cultura ancora troppo tollerante verso certi comportamenti.

Il dolore di Elena è il dolore di chi ha perso una sorella, un’amica, un pezzo di sé. Ma è anche la voce di chi ha deciso di trasformare quel dolore in lotta, in denuncia, in speranza che qualcosa possa finalmente cambiare.

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