Due caratteri opposti, un gioco complice
Il racconto si fa personale quando Bonolis ripercorre la collaborazione a metà anni Novanta: «Ricordo il divertimento reciproco, pur essendo diversi: io attratto dall’ironia, lui uomo tutto d’un pezzo». E poi la chiave del loro rapporto: «Accettava che lo prendessi in giro: rosicava, ma non si arrabbiava per non darlo a vedere». Un gioco di ruoli perfetto: «Io il ragazzino di bottega, lui il grande maestro che mi piaceva stuzzicare».
L’aneddoto sul “provo” dei Cervelloni
Non mancò un momento di frizione: «Per il “provo” dei Cervelloni si arrabbiò», ricorda Bonolis. «Lo lanciavo come il primo varietà di Rai1 senza Pippo Baudo», un affondo che toccava il regno dell’uomo che, allora, «conduceva praticamente tutto». Eppure, anche la gelosia professionale diventava spettacolo condiviso: a Scommettiamo che?, con Fabrizio Frizzi, Baudo si mise al pianoforte mentre Bonolis, con cuffie insonorizzate, doveva indovinare il brano dal movimento delle dita. «Quando tolsi le cuffie la buttai lì: “Hai suonato Donna Rosa, sempre quella suoni”. Lui rise».
«Educatissimo e quasi austero, ma leggero»
In controluce, l’uomo oltre il conduttore: «Erano altri tempi; ci si poteva divertire in una televisione senza i rigori di affettazione di oggi», osserva Bonolis. «Era educatissimo, di cultura siciliana, quasi austero: faceva effetto vedere una leggerezza così ben vissuta in un uomo così rigoroso».
Non solo frontman: il “direttore d’orchestra” dei format
Il merito più grande? «Non era solo un conduttore, ma un organizzatore di prodotti», sottolinea Bonolis. «Quando ciò che fai ti appartiene perché lo hai disegnato, scritto, impostato, la narrazione diventa più facile e sicura». E infatti, «chi guardava o partecipava ai suoi programmi avvertiva sicurezza: il cavallo non se ne andava per fatti suoi, andava dove il cavaliere voleva».
Un’eredità professionale e affettiva
Nel solco dei grandi, Baudo ha codificato tempi, toni, rituali del varietà, trasformando musica e intrattenimento in cerimonia popolare. Oggi, davanti alla camera ardente e in vista dei funerali, resta l’eco di quella maestria: il pubblico riconosce l’uomo che teneva le redini, i colleghi l’architetto di format, gli allievi il maestro da stuzzicare senza mai mancare di rispetto.