sabato, Maggio 10

Omicidio Nada Cella, svolta inaspettata: chi è la donna che ha cambiato il corso del processo

Quel momento ha segnato l’inizio di un’indagine personale che si è poi trasformata in un vero e proprio lavoro di investigazione privata. Analizzando documenti, testimonianze e contraddizioni rimaste inascoltate, la criminologa ha raccolto prove e indizi che hanno spinto gli inquirenti a riaprire il caso nel 2017, ben 21 anni dopo il delitto.

Il processo in corso a Genova

Il processo per l’omicidio di Nada Cella si sta svolgendo presso la Corte d’Assise di Genova. L’imputata principale è Annalucia Cecere, ex insegnante ed ex collega nello studio dove lavorava la vittima. La procura l’accusa di omicidio volontario. Insieme a lei, è a processo anche Marco Soracco, commercialista e datore di lavoro di Nada, accusato di favoreggiamento e false dichiarazioni ai pubblici ministeri.

Secondo l’accusa, alla base dell’omicidio ci sarebbe un movente passionale. Cecere avrebbe ucciso Nada per gelosia, convinta che tra la segretaria e Soracco ci fosse una relazione. Durante le udienze, sono stati presentati anche messaggi audio minacciosi che Cecere avrebbe inviato proprio alla criminologa durante le sue ricerche.

Ascoltare quei messaggi in aula

Durante la sua testimonianza, Antonella Delfino Pesce ha spiegato quanto sia stato difficile riascoltare quei messaggi. “Erano anni che non li sentivo. Quando li hanno riprodotti in aula ho chiuso gli occhi per un attimo. È stato un tuffo nel passato, un’esperienza molto forte”, ha dichiarato. Per lei, l’inizio di questo lungo percorso risale al 2017, ma i momenti vissuti sembrano molto più lunghi. “Sono stati otto anni che mi sono sembrati un’eternità. Ma non riesco nemmeno a immaginare cosa abbia vissuto la madre di Nada in quasi trent’anni.”

La relazione tra Cecere e Soracco

Uno degli aspetti centrali dell’inchiesta riguarda proprio il legame tra Annalucia Cecere e Marco Soracco. Un rapporto che, secondo gli inquirenti, potrebbe essere stato alla base del gesto estremo. Delfino Pesce ha dichiarato di aver avuto inizialmente un buon rapporto con Soracco, che poi si è evoluto in un’amicizia durante le sue ricerche per la tesi. “Gli ho dato il beneficio del dubbio, pensavo fosse sincero. Mi sentivo persino in colpa per non essere stata del tutto onesta con lui sulle mie vere intenzioni”, ha ammesso.

Tuttavia, nel tempo, sono emerse delle incongruenze e delle nuove prove che hanno cambiato la percezione della criminologa: “Ho capito che Soracco sapeva molto di più di quanto avesse mai ammesso. Gli elementi raccolti hanno mostrato un quadro ben diverso da quello iniziale.”

Le accuse infondate di Cecere

Durante l’udienza, tra i messaggi minacciosi inviati da Cecere, uno conteneva una grave accusa verso la criminologa, indicandola addirittura come complice nell’omicidio. Delfino Pesce ha rigettato con fermezza ogni insinuazione: “Quando sono andata a Boves, non ho mai fatto il nome di Soracco, né di Nada. L’unico nome che ho fatto è stato quello di Adelmo Roda, ex fidanzato di Cecere.”

Roda è una figura marginale nel caso, ma nel tempo è emersa una curiosa coincidenza: dei bottoni trovati sul luogo del delitto sembravano compatibili con quelli di una giacca di Cecere, giacca che sarebbe appartenuta proprio a Roda. “All’epoca non potevo sapere che i bottoni provenissero da quella giacca. Cecere ha fatto il collegamento da sola”, ha spiegato la criminologa.

Un colloquio che cambia tono

Delfino Pesce ha ricordato anche il lungo colloquio avuto con Annalucia Cecere. L’incontro, inizialmente cordiale, è cambiato improvvisamente. “Abbiamo parlato serenamente per più di due ore, poi quando ho nominato Roda, è cambiata radicalmente. È diventata aggressiva, nervosa. È stato un momento rivelatore.”

Un’emozione intensa, tra giustizia e memoria

Testimoniare in aula, per Antonella Delfino Pesce, è stato un momento carico di emozione. “Sono tornata mentalmente a quando tutto è iniziato. Un caso che ha segnato la mia vita e quella di molte altre persone. È una storia che dura da 29 anni, e non posso dimenticare che proprio in questi giorni è ricorso l’anniversario della morte di Nada.”

Quello che emerge dalle sue parole è un profondo rispetto per la vittima e la sua famiglia. “Silvana, la mamma di Nada, ha vissuto un incubo lungo quasi tre decenni. Io ho impiegato otto anni per arrivare a questo punto, ma non oso immaginare il dolore e la tenacia che ha dovuto avere lei.”

La speranza di verità e giustizia

In conclusione, la criminologa ha sottolineato l’importanza del confronto in sede giudiziaria. “Non mi sono mai sottratta al dialogo, neanche con Cecere. Ma ora spero che sia lei a confrontarsi finalmente con la Corte, con la verità, con la giustizia.”

Il caso Nada Cella, dopo anni di silenzio e incertezze, è tornato al centro della cronaca giudiziaria italiana. E grazie all’impegno di chi ha creduto nella ricerca della verità, come Antonella Delfino Pesce, oggi esiste una concreta possibilità che venga fatta giustizia.

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