L’ingresso nella sala colloqui avviene prima della zona detentiva, e l’incontro inizia con un abbraccio lungo e commovente, accompagnato da lacrime che raccontano più di quanto le parole possono esprimere. Gli sguardi, gli abbracci e le lacrime diventano la forma di comunicazione primaria in quel momento delicato.
Nonostante la sala sia progettata per ospitare numerosi visitatori, oggi c’è solo il trio familiare, seduto attorno a un tavolino che diventa testimone di emozioni palpabili.
L’incontro dura meno di un’ora, ma il peso di quei minuti sembra difficile da sopportare. Il tavolino è coperto da numerosi fazzoletti di carta, testimonianze muti delle emozioni condivise. La consapevolezza di Filippo Turetta riguardo ai crimini commessi emerge dalla sua confessione durata nove ore davanti al pubblico ministero.
Ha ammesso di aver tolto la vita a Giulia Cecchettin, la sua ex fidanzata, con una violenza raccapricciante, alimentata da un’incapacità di accettare la fine della loro relazione.
Il padre, Nicola Turetta, esce dalla sala e rivolgendosi alle guardie, esprime un sincero “Grazie per prendervi cura di nostro figlio.” È stato Filippo, poco dopo il suo ingresso nel carcere, a chiedere di poter vedere i genitori. Questo incontro è stato necessario, ma anche difficile, per molteplici ragioni. Tornato nella sua cella nel reparto infermeria, Filippo, al momento, non è stato trasferito.
Si trova sotto il regime di “grande sorveglianza”, sempre vigilato dagli agenti penitenziari e affiancato da un compagno di detenzione. Questo ambiente sembra avergli permesso di raggiungere un certo equilibrio, un equilibrio che sembra ancora irraggiungibile nella casa di Vigonovo, dove Giulia ha vissuto e dove ora si cerca di elaborare questa tragedia.